mercoledì 27 luglio 2011

RassegnArte -di mercoledì 27 luglio 2010

Medardo Rosso alla Galleria Porro di Milano

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E' visibile fino al 29 luglio alla galleria Porro di Milano una piccola e ben curata mostra su Medardo Rosso, allestita da Paola Mola, tra i maggiori studiosi dell'artista, già curatrice, insieme a Fabio Vittucci, del catalogo sull'intera opera di Medardo Rosso nel 2009 e ora autrice del catalogo della mostra. E' la prima volta, dal 1946, che opere di Medardo Rosso vengono esposte in spazi privati, propio per la difficoltà a reperire le rare opere dell'artista dai musei. Oltre a contare su opere come "La femme à la voilette " o "L'enfant a la bouchèe ", in mostra compare l'unico esemplare in bronzo della "Petite rieuse " creduta perduta dopo una mostra a Lipsia nel 1912. Inoltre vi sono tre disegni inediti della collezione già Sommaruga e due foto con una rielaborazione fotografica. Quest'ultimo è un aspetto molto importante documentato dalla mostra, vale a dire le particolari modalità - e l'importanza - dell'utilizzo delle lastre fotografiche da parte dell'artista per giungere a quegli effetti luministici quasi magmatici. Di seguito, vi propongo un articolo di Rinaldo Censi focalizzato su questa caratteristica di Medardo Rosso e un link sulla mostra.
Vince
Andrea Porro arte moderna e contemporanea, C.so Monforte, 23 Milano, fino al 29 luglio, Orari lun-mar h. 9.30-13.30 e 15.30-19.30, sab solo su appuntamento, chiuso la domenica, ingresso gratuito

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Le forme mutanti e aliene di Medardo Rosso
Lungo un percorso scandito dall'idea di serie, l 'artista ha realizzato cere, gessi, bronzi. Materia comunque brulicante, in uno stato di continua metamorfosi

 
Quando nel 1823 pubblica il Saggio sulla natura, il fine e i mezzi dell'imitazione nelle belle arti , Quatremère de Quincy è già un fossile di sessantotto anni, ma detterà legge per altri ventisei: una specie di papa introdotto in ogni anfratto del potere. Il problema è quello dell'imitazione. È la questione cardine che ruota attorno al bel saggio di Jean-Claude Lebensztejn, dedicato appunto all'Essai di Quatremère ( Dell'imitazione nelle belle arti , Solfanelli 2008). L'arte (ciò che imita) è per essenza in difetto in rapporto alla natura (ciò che viene imitato). Il problema sta proprio qui, sostiene Quatremère, nel voler annullare la distanza tra l'immagine e il modello: l'imitazione appunto, colta nella sua essenza. Quatremère espone qui, in bella vista, un'ovvietà semiotica, che emerge nel suo Essai come pietra angolare. Alcuni esempi: ai dipinti mancherebbe il rilievo, alla scultura il colore e lo sfondo. Insomma, alle arti mancano la vita, il movimento, la sensibilità. Come ovviare a questa mancanza? Compensandola attraverso la perfezione , ciò che ci risarcisce da una mancanza. Sono argomenti certo risaputi. I romantici (Géricault, ad esempio) faranno piazza pulita di queste teorie. Quatremère de Quincy forse non avrebbe apprezzato The Thing , il remake di John Carpenter (1982). Nondimeno, in gioco, rientrano questioni piuttosto simili. La perfezione, ad esempio. Nel film di Carpenter un essere alieno tenta infatti di imitare sempre più precisamente (alla perfezione ) gli esseri umani (l'operazione avviene per gradi, in primis si presenta sotto le spoglie di un cane da slitta...), allo scopo di attuare un attacco alla terra, sostituendo l'intera popolazione. Pur nel biancore della neve del Polo, il film di Carpenter è estremamente cupo, aperto e chiuso da scenografie di rovine, devastate dalle fiamme: due uomini attendono la loro ora, impassibili (uno dei due sarà l'alieno?). Pensavo a tutto questo di fronte ad alcune opere scelte di Medardo Rosso presso la Galleria Amedeo Porro, a Milano (questo è anche il titolo del bel volume curato da Paola Mola, infaticabile studiosa di Rosso - Rosso. Opere scelte , Skira/Amedeo Porro 2011). È soprattutto davanti a Femme à la violette (1895), qui in una cera su gesso del 1919-23, dal modello del 1895, che ho associato queste forme in formazione, instabili, questa massa brulicante e intrattabile in cui un volto, i suoi lineamenti, fanno capolino, magnifici, lisci, distesi, mentre tutt'intorno si muove l'inferno, alla Cosa del film di Carpenter. Anche qui un alieno lavora ad una forma: ne testa la malleabilità, ne studia la composizione, cerca di trovare una perfezione, che però un millesimo di secondo dopo è già svanita, perduta in un turbinio di liquido viscoso: la cera. È un fiore che si schiude, simile a miele colloso ormai rappreso, bloccato in un arresto di immagine, in uno stato di metamorfosi (il dettaglio fotografico della Femme à la violette sul catalogo leva il fiato: una forma immaginaria, energia che arriva da un'altra galassia). Prendete L'Enfant à la Bouchée de pain (gesso patinato, 1897-1900 circa), o La portinaia (gesso patinato, 1883). Si riesce a captare un'attività della materia che lascia presagire un principio di coagulazione in una forma che potremmo definire pre-anatomica: fisiologia sperimentale, incandescente. O il suo contrario: una minacciosa «fuga», una colata di materia in disgelo, inesorabilmente fissata dal tempo. I due Sagrestani (gesso dipinto, circa 1887 - gesso, 1883) non sono da meno, quasi fuori equilibrio, come sgonfiati. Modello originale, modello per le fusioni: la serie dell' Enfant pone seri problemi filologici e di datazione (che il volume tratta egregiamente, servendosi anche di una serie di esami tomografici), che qui non toccheremo, limitandoci a segnalare come in Rosso emerga l'idea di un percorso costellato dall'idea di serie : dalla cera alla maschera in bronzo all'elaborazione fotografica (sottolinea Paola Mola). Fascino dei calchi: gessi, cere, bronzi, modelli originali, modelli per fusione, fotografie (ma anche disegni), stampe di dettagli a contatto, ingrandimenti, ritagli sgembi, fotomontaggi (magnifico quello esposto, con L'Enfant incollato all'interno di un accrochage della sala del Salon d'Automne , 1904), aristotipi (celloidina/carta al collodio, carta al citrato/carta alla gelatina): perdita della forma, materia che si disfa minacciosa, viscosa, a volte trasparente, o colloidale. Prendete la Bambina di Lipsia, la Petite Rieuse , qui in un bronzo del 1902 (primo esemplare del 1889, probabilmente in terracotta, tradotto in cera tra il 1895 e il 1900, modificato in seguito e ridotto, eliminando il busto). Prendete La ruffiana (bronzo, 1889). Quelle risate infantili ricordano forse le isteriche del dottor Charcot, un corpo mutante, il ritratto di una patologia psichica; un volto che oscilla tra l'estasi e un'insopprimibile risata. La malattia appartiene al campo estetico? E nelle fotografie della Petite Rieuse la forma sfuma, si perde in un alone di vapore, un velo del bagno chimico, come se la massa degradasse, perdesse compattezza, oppure volesse migrare, spostarsi, pronta dissolversi, a schizzar via come il sangue alieno a contatto con l'ago incandescente nel film di Carpenter. Se parlavamo di serie è per azzardare e sostenere che la sfera artistica di Rosso, come per Marcel Duchamp, rientri pienamente sotto l'autorità del paradigma fotografico. Forse. Dopotutto è impossibile parlare dell'opera di Rosso senza segnalare «l'incidenza specifica dell'industrializzazione sulla pratica tradizionale dei pittori», senza ricordare l'invenzione della fotografia e «le condizioni enunciative dell'arte "nell'era della sua riproducibilità tecnica"», come ricorda un autorevole studioso di Duchamp, Thierry de Duve. Eppure, c'è in Rosso qualcosa che eccede la semplice causalità storica legata alla «riproducibilità». Carrà sosteneva che in Rosso «l'empito del creare si era in lui spento in seguito a una terribile caduta in tram». Oppure, come voleva la vulgata, Rosso aveva terminato la sua vena nel 1900, facendo poco o nulla fino al '28, se non curare nuove edizioni delle sue opere, senza più crearne di originali. Perciò, la domanda è - come segnala Paola Mola in Rosso. Trasferimenti (Skira 2006) - «se dopo quanto abbiamo visto sul campo delle arti dalla metà del Novecento, dopo Beuys e la Pop, il minimalismo, il dominio della riproduzione fotografica e filmica, analogica e digitale, sia ancora ragionevole fare di Rosso l'eccezione cui riservare una strumentazione critica archiviata, dove l'originalità si misura solo in relazione al vero e alla natura, e la creatività si mantiene circoscritta dentro i mezzi della tradizione ottocentesca». La risposta è: no. Per questo, lasciamo il fossile Quatremère e i suoi sodali alle loro beghe su ideale e perfezione. E lasciamo Carrà e anche gli alieni di Carpenter con la loro furia imitativa (somiglianza per eccesso). L'unico alieno è Rosso. Ci sono artisti che gettano un occhio sulla tela, mezzo sulla tavolozza, e dieci sul modello, ricordava Kandinsky. Che, invece, faceva l'esatto contrario: dieci colpi d'occhio sulla tela, uno sulla tavolozza, e mezzo sul modello. Rosso, da parte sua, per il resto della sua vita lavorerà al chiuso, tra reagenti chimici, modelli (matrici?) per fusione, calchi, gessi, cere. In pura perdita, con inconfondibile sprezzatura : l'arte cioè di fare le cose senza dargli un prezzo, magari giusto per sentire l'estasi della materia, colta in un istante senza gravità, in fluttuazione. Una sorta di antivalore , giusto per il piacere di dare vita e risonanza alle forme, enunciare l'instabilità della figura umana, fino a perturbarla.
di Rinaldo Censi da Il Manifesto di martedì 26 luglio
Sulle caratteristiche della mostra, è utile il seguente link http://www.bta.it/txt/a0/06/bta00608.html 

lunedì 25 luglio 2011

RassegnArte - di lunedì 25 luglio 2011

Fotografia contemporanea



Chiude tra poco una bella mostra alla Galleria Primo Marella a Milano dove sono ospitati cinquantacinque autori internazionali con i quali è possibile abbracciare l'evoluzione del panorama della fotografia internazionale dagli anni Ottanta sino ai nostri giorni, non solo da un punto di vista stilistico ma anche riguardo alle tecniche utilizzate. Gli spazi della Galleria, inoltre, sono particolarmente belli e costituisce un ulteriore motivo per andare a vedere la mostra. L'unico appunto riguarda le modalità della scelta a causa dell'ampiezza della panoramica offerta che non permette di individuare il criterio alla base della selezione. Dalla Rete ho scaricato due analisi, focalizzate l'una sulle foto presenti nell'esposizione e l'altro invece sugli spazi che la ospitano.
Vince
A tribute to photography. Primo Marella Gallery, Viale Stelvio 66 - Orari mar-ven h. 11.00-19.00, sab su appuntamento. Fino al 31 luglio 


Bastano pochi passi dalla porta d' ingresso per trovarsi nella grande sala centrale della galleria di Primo Marella dove si è assaliti da una contrastante, duplice sensazione: quella piacevole suscitata da ogni parete su cui una grande quantità di fotografie è accostata con garbo formando giganteschi puzzle (uno dedicato solo a foto di baci), e quella, vagamente spiazzante, della ricerca di un filo conduttore. Benvenuti nel mondo della fotografia contemporanea dove a ogni visitatore viene affidato un simbolico filo rosso perché lo aiuti a muoversi in un labirinto meraviglioso da cui, questa la novità, si è sicuri di uscire e in genere contenti. Si comincia, dunque, facendo vagare lo sguardo che si posa su volti e corpi, paesaggi e architetture che disegnano l' intreccio tipico di una contemporaneità dalle mille sfaccettature. Ma poi, oltre la prima sala, il percorso si snoda: apre piccoli anfratti per dare spazio a opere meno viste di grandi autori (un delicatissimo autoritrattoe un paesaggio di Shirin Neshat, la modella-musa Lisa ripresa da Robert Mapplethorpe), si allarga in improvvise composizioni che ripercorrono la storia della fotografia cinese dalle prime osteggiate performance degli anni ' 90 di Zhu Ming agli arcobaleni di successo internazionale realizzati vent' anni dopo da Jiang Zhii. Anche i nuovi fotografi provengono dalle economie emergenti: dalla Malesia Yee I Lann, dal Brasile Caio Reisewitz, dal Sudafrica Ayana Vellissia Jackson che indaga sul ruolo della donna con una serie di autoritratti. Il filo conduttore lo disegna lo stesso Primo Marella in veste di curatore, oltre che di gallerista attentissimo al nuovo: i 55 autori esposti creano le premesse di una storia della fotografia dai confini espressivi e geografici sempre più vasti. Completa la mostra il catalogo costruito attorno all' illuminante saggio di Demetrio Paparoni. Vicina alla porta, una modella dal volto velato di nero (di Inez Van Lamsweerde & Vinoodh Matadin) osserva chi esce come se volesse interrogarlo o ricordargli che, per il tempo della visita, era lei ad accompagnarlo con il suo sguardo.
di Roberto Mutti, in www. ricerca.repubblica.it del 2 luglio 2011

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La nuova galleria, grazie alle volumetrie degli spazi ed alla vicinanza con lo storico spazio Marella Gallery, sita in via Lepontina a poche centinaia di metri, contribuisce ad arricchire le possibilità espositive per i progetti portati avanti da Primo Marella.

Luogo vitale, mentale e fisico per l’arte contemporanea la galleria nasce come spazio privilegiato per progetti curatoriali di ampio respiro centrati sull’esaltazione delle tecniche espressive dell’avanguardia internazionale.

Per la progettazione della galleria Primo Marella si è affidato all’architetto di fama internazionale Claudio Silvestrin che vanta al suo attivo molti spazi per l’arte contemporanea tra i quali la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, la galleria White Cube, la Lockhart Saatchi e la nuova sede della Victoria Miro di Londra. Il talento nel combinare un linguaggio architettonico essenziale e fortemente evocativo ha reso Silvestrin uno dei maestri riconosciuti del minimalismo progettuale d’avanguardia. Questo il commento espresso dall’Architetto durante la sua ultima visita alla Galleria ormai in fase di ultimazione: ”Sono entrato da Primo Marella e ho visto- lo spazio-“ (Claudio Silvestrin).

L’ampiezza degli spazi della galleria - circa 500 mq – fa sì che essa sia pronta ad accogliere ogni tipo di sperimentazione nel campo dell’arte contemporanea. Accanto alla grande sala destinata all’attività espositiva sarà presente un’area polifunzionale concepita per accogliere i visitatori senza disturbare la fruizione delle opere esposte. Il percorso espositivo si completa con una sala allestita con le più moderne tecnologie destinata alla fruizione di opere multimediali.

Primo Marella Gallery si propone come un luogo progettuale in costante dialogo col pubblico, uno spazio di riflessione artistica e un laboratorio di idee: un luogo dove dilatare il tempo di fruizione delle opere anche attraverso la documentazione. Lo spazio vuole divenire un punto di riferimento costante per il pubblico prefiggendosi l’obiettivo di affermarsi come centro vivo di incontri e di scambio di idee tra artisti, curatori, collezionisti e personalità del settore.
Questa nuova presenza, contribuisce a confermare l’importanza e la vitalità dell’area “Via Farini - Via Valtellina” quale polo culturale alternativo in città.
da www.artemotore.com, del 1 novembre 2007

domenica 24 luglio 2011

RassegnArte Musica - del 24 luglio 2011

Keith jarret a Milano



da youtube

Il grande musicista Jazz sarà a Milano il 28 luglio in Trio con Peacock al contrabbasso e De Johnette alla batteria. Consiglio a tutti di andare a vedere il concerto perchè è una grande occasione per vedere questa formazione di mostri sacri del Jazz che hanno contribuito alla storia della musica. Vi allego una recensione dal Corriere della Sera.

Estro e classicità del jazz con il piano magico di Jarrett

In trio con Peacock al contrabbasso e DeJohnette alla batteria. Napoli, successo al San Carlo. Giovedì suonerà a Milano

NAPOLI - Stregato da Napoli e dal suo Teatro San Carlo, Keith Jarrett si è ripresentato all'ombra del Vesuvio solo due anni dopo essere stato il primo jazzista a suonare nel tempio della lirica partenopea. Allora, esattamente il 18 maggio 2009, aveva dato uno dei suoi esoterici concerti pianistici solitari per i quali è amato da ogni sorta di pubblico; ora si è presentato invece alla testa del trio completato da altre due personalità di grande peso, Gary Peacock al contrabbasso e Jack DeJohnette alla batteria. E certamente buona parte del pubblico di allora è tornato ad ascoltarlo, perché la platea e i palchi (con biglietti non proprio popolari, dai 60 euro delle ultime balconate fino ai 200 dei posti più ambiti) vibravano in sintonia con la sua musica sempre sapiente e fascinosa, come se si trattasse di ritrovare un vecchio amico.
 Lo Standards Trio, nato nel 1983, con Jarrett, Gary Peacock (contrabbasso) e Jack DeJohnette (batteria)








Prima tappa nazionale di un tour europeo di otto date, il concerto napoletano sarà seguito in Italia soltanto da un'esibizione del trio agli Arcimboldi di Milano, giovedì 21. Il gruppo tiene fede al nome con cui incise i primi dischi, nell'ormai lontano 1983: Standards Trio. Anche a Napoli, infatti, si sono ascoltati brani del grande repertorio nordamericano, alternati piuttosto regolarmente fra le ballad, nelle quali il pianista creava spesso arabeschi quasi impalpabili, e temi vicini alla scattante tradizione del bebop. Ma bisogna dire che la triangolazione fra i formidabili interpreti che costituiscono il gruppo permette loro di usare spesso questi temi famosi come trampolini verso gli spazi inesplorati dell'improvvisazione assoluta. Se li si ascolta bene, poi, i tre fuoriclasse americani rivelano perfettamente la loro formazione, che risale ai libertari anni Sessanta, non mostrandosi particolarmente interessati a un flusso musicale rassicurante; al San Carlo frammentavano costantemente le frasi, rendendole ruvide e scabrose come per meglio assaporarle, e anche le ballad più languide si aprivano ad istanti di sottile meraviglia, simili in qualche misura a frattali sonori. Così, dietro al pianoforte sempre narrativo e iridescente del leader, il contrabbasso di Peacock disegnava volentieri vette e valloni di lontane catene montuose, senza accontentarsi di un accompagnamento costante, mentre la batteria di DeJohnette sorprendeva con gli sciabordii dei piatti, luminosi come folgori in una notte senza luna. Le diverse camicie dei tre (rossa quella di Jarrett, nera di Peacock, bianca di DeJohnette) sembravano rappresentare gli elementi che si mischiano e si ricompongono nel loro discorso musicale, fuoco terra e aria, in un concerto che ormai rappresenta la classicità del jazz.
Di Claudio Sessa, dal Corriere della Sera del 19 luglio 2011

Allarme Beni culturali - del 24 luglio 2011



La speculazione edilizia: un caso esemplificativo a Marino (Rm)
 
Vi richiamo l'allarme lanciato recentemente da alcuni giornali italiani a proposito di un nuovo caso di disinteresse verso i beni culturali italiani, riguardante uno dei pochi esempi sopravvissuti di santuario dedicato al culto di Mitra. In questo caso si tratta del monumento sito nel comune di Marino, il meglio conservato e più completo tra i tre rimasti, dato che custodisce anche le decorazioni pittoriche. Tutto ciò risulta minacciato dalla costruzione di un condominio di cinque piani a pochi metri dal mitreo, grazie ad una concessione edilizia rilasciata dal comune stesso. Già con l'apprestamento del cantiere il mitreo ha subito i primi danni a causa dell'infiltrazione di acque dovute al taglio di tubature eseguito dalla ditta costruttrice. Nel caso dell'articolo da me proposto, il suo estensore, Salvatore Settis, richiama il pericolo rappresentato da casi come questi per i beni di pubblica utilità, quali i beni culturali, poichè siamo in presenza di un interesse puramente locale che prevale su di un interesse assolutamente più largo, quale quello pubblico, come può essere considerato un santuario mitreo di epoca romana ancora sopravvissuto e ora danneggiato anche da un'accostamento impropio con un edificio moderno e sicuramente di dubbio gusto, che, posto a pochi metri, cancella un altro elemento importante per un bene culturale di questo tipo, vale a dire la conservazione del contesto ambientale, il quale partecipa e contribuisce ad arricchire il fascino e la bellezza di un monumento.
Vince

Sappiamo tutti «perché non possiamo non dirci cristiani», secondo la celebre formula di Benedetto Croce. Quasi tutti abbiamo dimenticato, invece, il grande rivale tardo-antico del Cristo: il dio Mitra. Questo antichissimo dio solare di origine indo-iranica divenne sempre più popolare nel mondo romano a partire dal II secolo dopo Cristo: il culto, diffuso attraverso i soldati, che si muovevano da una parte all'altra del l'impero, ne raggiunse ogni angolo. Dappertutto, dalla Mesopotamia alla Scozia, si impiantarono mitrei, luoghi di culto (quasi sempre sotterranei), dove si celebravano riunioni e riti, sempre dominati dal l'immagine-standard del sacrificio del toro, un rituale di morte e rigenerazione che assicura al mondo perpetua fecondità. Quello di Mitra era un culto misterico, a cui i fedeli erano introdotti da rituali complessi, e percorrevano i sette gradi della gerarchia (corvo, ninfo, soldato, leone, persiano, heliodromos o corriere del sole, padre). Ma al gesto crudele con cui il dio immola il toro squarciandogli la gola non corrispondevano rituali altrettanto cruenti: anzi, il mitraismo fu un culto, tendenzialmente monoteistico, che nel dio esaltava la perenne vittoria del bene sul male, e perciò propugnava una religiosità della redenzione, un'etica della salvezza (individuale) attraverso il rito (collettivo).
Non si contano le rappresentazioni della scena-chiave del sacrificio del toro, specialmente in bassorilievi, bronzi, gemme e terracotte. Rarissime, invece, le rappresentazioni pittoriche che sono sopravvissute: se ne contano in Italia solo tre: a Roma sotto Palazzo Barberini, a Santa Maria Capua Vetere, e a Marino, a un passo da Roma. È questa la più importante, più bella e meglio conservata delle immagini dipinte di Mitra, entro la cisterna di una villa romana trasformata in luogo di culto alla fine del II secolo d.C., a opera di un Cresces, actor (agente, o amministratore) di Alfio Severo, come dice un'iscrizione: sono conservati i panconi lungo le pareti dove i fedeli consumavano collegialmente il banchetto sacro. La scena centrale è qui fiancheggiata (proprio come accadrà in tante pale d'altare medievali, col Santo al centro e le sue "storiette" ai lati) da otto quadretti che tracciano la «biografia cosmica» di Mitra, dalla gigantomachia che stabilisce l'ordine universale alla nascita del dio da una roccia, al «miracolo dell'acqua», che egli fa sgorgare dalle pietre.
Il preziosissimo affresco del mitreo di Marino (circa 200 d.C.), riscoperto nel 1961 e presto acquisito al demanio pubblico, è sopravvissuto per diciotto secoli in condizioni prodigiose, assoluto unicum nel catalogo pur vasto delle rappresentazioni di Mitra, ma proprio in questi giorni rischia la distruzione. Viene da non crederci, ma il comune di Marino ha concesso il permesso di edificare un condominio di cinque piani in via del Granaio, al termine di una strada soprastante il mitreo. Il dissennato progetto prevede un ampio sbancamento, per collocare l'ingresso della palazzina sette metri sopra la volta del mitreo: lo scavo per le fondamenta danneggerà dunque irreparabilmente un luogo di culto e d'arte di enorme importanza, data anche la natura del terreno e dei materiali usati (fra cui il peperino). A quel che pare, l'inizio dei lavori ha già danneggiato l'aula mitriaca, perchè gli scavi hanno tranciato una condotta di acque scure che hanno cominciato a riversarsi nell'antico luogo di culto. Il dio invictus che prometteva ai suoi fedeli la vittoria sul male e la salvezza eterna riuscirà a essere salvato? O dovremo assistere a questa ennesima barbarie, i riti empi dei palazzinari che distruggono cinicamente la nostra storia? Vale di più la licenza edilizia rilasciata da un comune o il principio di tutela del patrimonio storico-artistico sancito dalla Costituzione e garantito dalla legge?

di Salvatore Settis in Il sole 24 ore del 26 giugno 2011


   

venerdì 22 luglio 2011

Focus - di venerdì 22 luglio 2011

Mostra Materia prima. L'arte povera russa al PAC di Milano


In questi giorni, fino all'11 settembre, è' visibile al PAC di via Palestro un ampio gruppo di artisti russi  contemporanei riuniti per dare vita a questa mostra da Marat Guelman, ora direttrice del Museo di Perm che, nel periodo post sovietico li raccolse all'interno della propia galleria. Questi 23 artisti si caratterizzano per l'utilizzo di materiali estremamente semplici e naturali, in diversi casi riciclati e riutilizzati, a richiamare le materie prime e le grandi ricchezze naturali della propia terra russa, come petrolio, legno, carbone, ferro. L'interesse di questa mostra è dovuta alla curiosità di poter ammirare le novità artistiche contemporanee prodotte dalla cultura figurativa di una nazione prepontentemente affacciatasi al novero delle nuove potenze più ricche del pianeta. Inoltre, l'arte povera russa guarda alla corrente d'avanguardia sorta in Italia attraverso l'iniziativa critica di Celant e che annoverava tra le sue fila artisti come Merz o Kournelis e che a Milano annovera quelle gallerie e collezioni private che conservano molte di quelle opere che nella città trovarono un loro luogo di adozione. Diviene stimolante quindi confrontare propio a Milano questi artisti a quelli che li precedettero, così come osservare la differente sensibilità e quindi i risultati rispetto ad una produzione eseguita in un momento tanto diverso. Tanto più che le opere sono di notevole qualità, esse infatti provengono direttamente dall'analoga esposizione tenutasi al Petit Palais di Parigi e diretta poi al MOMA si New York. Seguono due interventi, l'uno di spiegazione della mostra, l'altro riguardante un punto di vista di un osservatore russo che mi sembrava interessante proporre per avere un diverso angolazione culturale.
Materia prima. Russkoe Bednoe, l'arte povera in Russia, fino all'11 settembre 2011 - Orari lun 14.30-19.30, mar-dom 9.30-19.30, gio 9.30-22.30

Attenzione! La mostra è anche per i bambini, dai 4 ai 7 anni! Bisogna prenotare online a www.comune.milano.it/pac, dove è prevista una narrazione di favole legata alle opere esposte
Vince


Un omaggio all’arte russa attraverso
116 opere di 23 artisti contemporanei.

Da venerdì 8 luglio a domenica 11 settembre 2011 il PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano ospita Materia prima. Russkoe Bednoe – “l’arte povera” in Russia, a cura di Marat Guelman. Promossa dal Comune di Milano – Settore Cultura, con il patrocinio del Governatorato della Regione di Perm’ (Federazione Russa), del Ministero della Cultura, delle Politiche Giovanili e della Comunicazione della Regione di Perm’ e dal Consolato della Federazione Russa a Milano, la mostra, organizzata dall’Associazione Italia Russia e dal Museo d’Arte Contemporanea di Perm’, rientra e apre a Milano il calendario di iniziative previste per il 2011 in occasione dell’Anno della Cultura e della Lingua Italiana in Russia e della Cultura e della Lingua Russa in Italia.

La mostra, ideata da Sergey Gordeev, membro del Consiglio Federale Russo per l’amministrazione di Perm’ da anni impegnato in ambiziosi progetti per lo sviluppo culturale e architettonico della Regione, rappresenta una delle più grandi esposizioni collettive di arte contemporanea russa dell’ultimo ventennio e ha già destato particolare interesse e apprezzamento a livello internazionale: è stata premiata nel corso della Terza Biennale d’Arte Contemporanea di Mosca (settembre 2009), mentre una selezione di opere è stata esposta al Grand Palais di Parigi a giugno 2010 e dopo il passaggio a Milano, sarà ospitata al PS1 del MoMA di New York.

Il curatore della mostra, Marat Guelman, personalità molto nota grazie al suo profondo impegno intellettuale e politico nella realizzazione di grandi progetti di respiro nazionale e internazionale in collaborazione con prestigiose istituzioni dedicate all’arte contemporanea come White Box (New York), Tretyakovskaya Gallery (Mosca), Biennale di Venezia, Centre Pompidou (Parigi), dal 2008 è direttore del Museo di Perm’, che riveste un ruolo fondamentale nello sviluppo culturale e scientifico non solo della Regione ma di tutta la Federazione Russa.

Materia prima. Russkoe Bednoe “l’arte povera” in Russia presenta grandi installazioni, sculture, lavori di videoarte, fotografia e pittura di 22 artisti contemporanei tra le figure più importanti della scena artistica russa di questi anni più un omaggio al fotografo Aleksandr Sljusarev.

Elemento fondamentale comune alla ricerca artistica di ciascuno è l’utilizzo delle risorse naturali della Russia: legno, carbone, ferro e petrolio come nel caso di Vladimir Anzelm e Dmitry Gutov ma anche la passione per i materiali poveri come il cartone, l’argilla, la gommapiuma che accomuna Koshlyakov e Brodsky, o ancora per gli oggetti recuperati/riciclati e restituiti ad una nuova vita nelle opere di Olga & Aleksandr Florenskye.

Materia Prima Russkoe Bednoe è un progetto unico che ci offre l'occasione di riflettere su un’arte autentica e soprattutto ci offre una nuova chiave di lettura dell’arte contemporanea russa.

Gli artisti in mostra, come afferma il curatore Marat Guelman, pur non essendo accomunati dall’adesione ad un manifesto, riscoprono tutti l’uso di materiali naturali e semplici che diventano arte tornando natura, rompendo così il confine tra artificiale e naturale; questo approccio rivela alcuni aspetti dell’arte contemporanea russa ponendo interrogativi che creano un dialogo con la storia dell’arte, la responsabilità sociale e il desiderio di trovare la bellezza nella semplicità delle cose.

Gli artisti che espongono sono:
Vladimir Anzelm, Petr Belyi, Aleksandr Brodsky, Blue Noses, Olga & Aleksandr Florensky, Dmitry Gutov, Anna Zhelud, Zhanna Kadyrova, Vladimir Kozin, Irina Korina, Aleksandr Kosolapov, Valery Koshlyakov, Mylo Group, Anatoly Osmolovsky, Nikolay Polissky, Resycle, Yury Shabelnikov, Sergey Shekhovcov, Leonid Sokov, Michail Pavlyukevich & Olga Subbotina, Sergey Teterin, Sergey Volkov

Parallelamente alla mostra, nello spazio café del PAC, verranno esposte venticinque opere fotografiche di Aleksandr Sljusarev (1944-2010), fotografo attivo soprattutto negli anni settanta che ha influenzato molti fotografi russi contemporanei. Sljusarev ha teorizzato e messo in pratica la fotografia analitica o metafisica, nella quale oggetti usuali, prosaici, svelano sensi e significati profondi, mentre la semplicità apparente è il risultato della sua vastissima conoscenza della cultura visiva.

Il progetto è inserito nel quadro delle manifestazioni espositive АРТ-территория Arte Territorio promosso in ambito culturale e finalizzato al richiamo di nuovi investimenti e al miglioramento della qualità della vita nella Regione di Perm.

La mostra è stata realizzata con il contributo di Moneta srl Impianti ed Engineering
e con il contributo di Mont Blanc, Art in Box, Westin Palace Hotel.

Con il patrocinio di:
Consolato della Federazione Russa a Milano
Ministero della Cultura, delle Politiche Giovanili e della Comunicazione della regione di Perm

La mostra sarà accompagnata da un libro-catalogo curato da Perm Museum of Contemporary Art “PERMM”

L’Associazione Italia Russia persegue la strada della promozione di progetti culturali e formativi al fine di favorire la crescente cooperazione culturale ed economica fra l’Italia e la Russia; l’Associazione fin dal 1946 è impegnata in questa direzione, attraverso una collaborazione assidua con enti pubblici e privati presenti sul territorio lombardo e russo.

Il Museo d’Arte Contemporanea di Perm’ è stato fondato nel 2008 grazie al sostegno di Oleg Chirkunov (Governatore della Regione) e di Sergey Gordeev (membro del Consiglio Federale Russo per l’Amministrazione del Governatorato di Perm’). La città rappresenta uno dei più importanti centri economici, industriali e amministrativi della Federazione Russa, anche grazie alla sua posizione privilegiata nella produzione e raffinazione del petrolio.
da www.teknemedia.net


Per quanto riguarda un punto di vista russo sulla mostra

Può un pittore essere moderno ed insieme “russo”?  
Legno, carbone, ferro, petrolio, cartone e  gommapiuma.  «Materia prima. Russkoe bednoe - L`arte povera». Questa e` la particolarita principale della mostra dell`arte contemporanea russa Russkoe bednoe che  non illustra una scuola o un manifesto artistico, ma mette a confronto gli artisti che hanno scelto tali materiali semplici della natura russa.  Nell’ambito dell’Anno della  cultura russa in Italia dal 8 luglio al 11 settembre 2011 il Padiglione d’Arte Contemporanea а Milano ospita la mostra  promossa dal Comune di Milano con il patrocinio del Governatorato della Regione di Perm (Federazione Russa) e dal Consolato  Russo a Milano.  
Dell’evento culturale ci ha parlato il suo curator Marat Ghelman. Al microfono la nostra corrispondente Niva Mirakian.
Corrispondente: Milano e’ stata la terza città, dopo Mosca e Parigi, ad ospitare la mostra Russkoe bednoe. Dopo Milano e’ previsto il passaggio al MoMA di New York. Abbiamo parlato con il curatore della mostra Marat Ghelman - personalità molto nota grazie al suo attivo impegno nella realizzazione di grandi progetti del respiro nazionale e internazionale. Abbiamo chiesto Marat Ghelmandi spiegarci la ragione per cui Milano e’ stata scelta tra tutte le città italiane perlosvolgimento di questa mostra, che ha già avuto un feedback molto positivo nella stampa italiana.
Ghelman: Milano è una città le cui collezioni private vantano molte opere dei pittori dell’arte povera tra cui Janis Kunelis, Mario Merz – pittori che hanno lavorato con materiale povero e sono diventati noti in tutto il mondo. Ecco perché la mostra di Milano è particolarmente interessante, i visitatori confrontano l’arte povera italiana e l’arte povera russa. Per noi era un passo molto rischioso ma il più logico –quello di dimostrare la nostra arte povera nella patria dell’arte povera.  Non me l’aspettavo ma i critici hanno accolto con grande entusiasmo la nostra mostra. Sono già apparsi lunghi articoli al riguardo sul “Corriere della Sera” e “La Repubblica”.
Corrispondente: La rassegna presenta 116 lavori di 23 artisti contemporanei tra i piu significativi della scena russa: grandi istallazioni, sculpture, lavori di videoarte, fotografia e pittura con un omaggio al fotografo Aleksandr Sljusarev. Ogni opera ha le sue origini, la sua storia, però tutte insieme ci offrono una nuova chiave di lettura dell’arte contemporanea russa, dice Marat Ghelman.
Ghelman: Conosco queste opere molto bene già da tempo. Il fatto è che la maggioranza di esse sono state create nell’ambito di altri progetti, tra cui quelli personali. Sono state messe tutte insieme. Qui ci sono dei pittori di incidenza fondamentale per la Russia d’oggi. Sono, in particolare, Alexandr Prodsky, Valera Koshliakov, Petia Belyj, Florensky, “Nasi blu”. Anche se ci alieniamo dalla concezione della mostra stessa e ci immergiamo in ogni singolo progetto, vediamo che è interessante a modo suo. Ma la mostra si distingue innanzitutto per il fatto che gli spettatori hanno la possibilità di individuare i “segni gentilizi dell’arte russa.
Corrispondente: Dottor Ghelman parla dell’obiettivo della mostra presentata  per la prima volta due anni e mezzo fa a Perm,  che secondo lui e’ statо  quello dirompere gli stereotipi verso l’arte contemporanea russa.
Ghelman: È stato un tentativo di chiarire cosa hanno in comune vari pittori russi, nonché il fatto che hanno dei segni comuni formali. In precedenza parlando dell’arte russa i critici internazionali dicevano: è molto intelligente, è molto concettuale, può essere ironica, ma nessuno parlava di cose formali. Risultava che in Russia c’era il seguente antagonismo: o l’arte russa e tradizionale o l’arte moderna che ha a che fare con il contesto internazionale ma è estranea all’arte russa. A questa mostra abbiamo dimostrato per la prima volta che il pittore può essere moderno ed insieme russo. La passione dei russi per i materiali naturali è molto tipica dell’arte russa d’oggi, anzi attualemente è diventata tendenza.
Corrispondente:Il titolo della mostra Materia Prima rimanda al movimento Arte Povera che in Russia e in Italia e’ nato e cresciuto per varie ragioni. Marat Ghelman annalizza le origini dell’arte povera italiana e quella russa.
Ghelman: Quandoil pittore rinuncia ai materiali ricchi, lo fa per determinati motivi. I pittori italiani rinunciavano ai materiali costosi in segno di protesta contro la nuova cultura patinata. I pittori russi  in numerosi casi cominciavano a lavorare con un materiale povero poiché non avevano altre possibilità in questo senso. Per esempio, Serghei Shekhovtsev usava la gommapiuma perché ha un aspetto di marmo. Probabilmente voleva fare le sue opere usando il marmo ma aveva la possibilità di usare solo la gommapiuma. Se i pittori italiani dell’arte povera tentavano di protestare contro l’estetica classica, i pittori russi, al contrario, la amano. È chiaro che un pittore che si trova in mezzo all’architettura classica, tenta di allontanarsi dalla stessa. Per noi, invece, con le nostre città sovietiche, il classicismo è  tutt’oggi attraente. I pittori russi, usando i materiali moderni, il linguaggio mdoerno, sono di gran lungo più “fautori” dell’Italia rispetto agli italiani stessi. Alla mostra sono presentati molti motivi italiani.
Corrispondente: I nostri paesi sono arrivati all’arte povera camminando lungo due strade diverse. Nonostante ciò il punto di partenza era uno: la ricca fantasia. E la ricca fantasia non ha bisogno di materiali sontuosi per realizzarsi, puo’ facilmente esprimersi tramite mezzi semplici, naturali e... poveri.


 



giovedì 21 luglio 2011

RassegnArte - di giovedì 21 luglio 2011

Sulla Poesia

Vi propongo un articolo uscito recentemente sul Corriere riguardo alla poesia. E' interessante, nonostante io non mi trovi d'accordo sulle conclusioni, poichè invita ad una riflessione sui motivi per cui la sua lettura risulti così poco praticata, soprattutto da parte delle giovani generazioni. Vi allego poi un video di Benigni, sul suo rapporto con la poesia: è bellissimo perchè parla con il cuore e la pancia di cosa sia la poesia, al contrario dell'intellettualismo con la quale essa trova espressione nell'articolo qui di seguito e per cui, forse, così frequentemente ci troviamo a fuggirla.
Vince
Anselm Kiefer, «Volkszählung», 1991, installazione


 









Qualche mese fa, discutendo con due giovani poeti particolarmente intelligenti e colti, Carlo Carabba e Matteo Marchesini, abbiamo concluso che oggi (e da tempo) la poesia italiana è prevalentemente divisa in due tipi: c'è quella incomprensibile e c'è quella noiosa, perché manca, da parte degli autori, la passione di essere letti. Questa idea sarà crudele, ha tuttavia il vantaggio di spiegare perché di poesia se ne pubblica tanta e nessuno se ne accorge. Il fatto che la critica non ne parli e che i giornali evitino il più possibile di recensire i poeti, è solo una conseguenza. Nominalmente e idealmente la poesia resta un valore virtuale, una specie di feticcio intoccabile. Di fatto, se ci si fa un'idea dei libri di poesia che escono e se si prova a leggerli, si arriva a conclusioni desolanti.
Del resto, noiose o incomprensibili oggi sono anche le arti visive: e in cima alla classifica negativa metterei le «installazioni». I più noti fra gli installatori (gente ben pagata) sono dei noiosissimi furbi che la critica esalta e iperinterpreta per ragioni che non riescono a convincere né il pubblico ingenuo né quello colto. Sia nel caso della poesia che in quello delle arti visive molto si spiega con un circolo vizioso: gli autori ignorano il pubblico e il pubblico ignora loro. Ma nelle arti visive regna lo strapotere dei critici. Decidono loro che cos'è arte e soprattutto fanno i prezzi.
Non credo che la poesia oggi in Italia sia meglio della narrativa. Si tratta di situazioni opposte. La narrativa è corrotta dal mercato, dal miraggio del best-seller, dagli editori, dai premi e dalla povertà culturale degli autori: ma chi scrive un romanzo sa di doversi confrontare con una realtà esterna alla scrittura. La poesia è corrotta invece da se stessa, dall'idea che ha di sé: fuga dalla comunicazione o libera espressione del già saputo. Chi scrive poesia crede di essere giustificato, qualunque cosa scriva, dal fatto che lo scrive al riparo di un'idea-valore, l'idea di poesia. Se ci si liberasse di questa idea consolatoria, si arriverebbe a guardare in faccia la realtà dei testi, e si potrebbe tranquillamente constatare che il 90% di ciò che si legge nelle collane di poesia e nelle antologie, è da dimenticare.
Tutto qui? Che cosa resta una volta messa da parte la poesia incomprensibile e quella noiosa? Restano una decina o poco più di poeti, che sanno di che parlare e sanno che cos'è un verso. Chi sono costoro? Per ragioni di cortesia, raramente i critici si decidono a dirlo, anche perché fra i non-poeti finirebbero parecchi «nomi» che negli ultimi vent'anni si sono conquistati, chissà come, un certo prestigio. Un prestigio convenzionale e diciamo pure editorial-mondano, fondato più sulla tenacia autopromozionale degli autori che sulla qualità dei testi. Ma anche quando i critici scelgono i loro poeti, non sono mai d'accordo, o l'accordo riguarda a malapena un paio di nomi.
Siamo così arrivati al punto. In che consiste la qualità di un testo poetico? Chi può accertare questa qualità? La partita si gioca fra lettori che non ci sono, sono sconcertati o sprovveduti, e critici la cui «competenza testuale» è diventata assai dubbia e che generalmente non osano giudicare, si astengono, non tengono lezioni sulla poesia contemporanea. Mi sembra che dagli anni Novanta a oggi la sola pubblicazione che abbia incoraggiato la critica e osato dire dei sì e dei no (non senza rischio di errore) sia stato l' Annuario di poesia di Giorgio Manacorda, Paolo Febbraro e Matteo Marchesini. Pubblicazione di cui si è parlato poco, anche se contiene molti saggi che andrebbero raccolti in volume.
«Può interessare la poesia?» si chiedeva vent'anni fa un poeta e critico americano allora giovane. Cattiva domanda che provoca cattive risposte. La Poesia, l'Arte, la Filosofia, il Romanzo... Siamo sempre lì. Il guaio e l'alienazione della non-lettura nascono dal fatto che si ragiona per generi e categorie generali, non per autori o, meglio ancora, per singoli libri e singoli testi. Quando si tratta di qualità dei testi poetici, per non fare danno bisogna essere spietati: questa strofa meglio toglierla, questo finale è sbagliato, perché questo verso finisce qui? La tecnica è tutto, quando si sa che cosa dire o non dire. Come ai tempi di Saba, resta da fare «la poesia onesta» perché, comunque, non può essercene altra. In poesia, in qualsiasi arte, in ogni forma di pensiero critico, solo l'onestà è geniale. I migliori lettori di poesia, i più severi e selvatici sono quasi sempre i poeti. Quelli che lo sono, volevo dire. In Italia, oggi come mezzo secolo fa, una decina o poco più.

da Corriere della Sera.it del 14 luglio 2011, di Alfonso Berardinelli

La poesia secondo Benigni

Video tratto da Youtube





Musica a Milano
La seconda segnalazione che vi propongo riguarda due bei concerti che si svolgeranno a Milano, l'uno questa sera e l'altro invece nella giornata di domani.
Stasera ci sarà Moby, un grande artista di New York, il quale propone delle belle ricerche nel campo della musica elettronica, sempre venata, di grande dolcezza, dandogli un accento poetico molto moderno.
Arena Civica di Milano, h. 21.00, ingresso euro 41.00A Voi un video appena prodotto con il suo ultimo album

video tratto da youtube

L'altro concerto sarà domani sera e riguarda Le luci della centrale elettrica, un progetto di Vasco Brondi che canta la realtà odierna secondo un ottica anticonformista, di una certa sinistra alternativa che guarda con nostalgia e recriminazione a un certo passato degli anni Settanta e Ottanta. E' da vedere assolutamente anche per la sua vena lirica di grande classe. A Voi un altro video


Video tratto da youtube 

martedì 19 luglio 2011

RassegnArte - di lunedì 18 luglio 2011

Man Ray a Milano
 
Juliet 
In Mostra alla Galleria Marconi di Milano la raccolta di foto del grande artista surrealista scattate a sua moglie Juliet Browner e raccolte con il titolo "Fifty faces of Juliet " con  le quali è testimoniata il ruolo di musa ispiratrice rivestita da Juliet.
Man Ray - Fondazione Marconi. Galleria d'arte - Via Tadino, 15 Milano - Fino al 29 luglio 2011 - Orari lun-ven 10-30-13, 15.30-19 - Ingresso libero


Le sculture di Nag Arnoldi a Palazzo Reale di Milano
Nag Arnoldi - Pferdefigur
Sono esposte a Palazzo Reale circa una cinquantina di sculture dell'artista svizzero, comprendenti il ciclo degli Astati e dei Guerrieri, il bestiario di tori, cavalli e minatauri, alcuni dei quali alti fino a tre metri, opere con le quali testimonia la fragilità dell'esistenza ma anche il il suo dramma e la sua poesia. L'allestimento è stato curato da Mario Botta.
Nag Arnoldi. Sculture 1980-2010 - Palazzo Reale - Piazzetta reale, Milano - Ingresso libero - fino all'11 settembre.

lunedì 18 luglio 2011

Focus - di lunedì 18 luglio 2011

Per riflettere sul corpo e l'identità: due mostre a confronto
Il Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo e la Galleria Kaufmann di Milano ospitano due mostre per certi aspetti speculari in quato ci danno l'opportunità di portare il nostro sguardo - e quindi di riflettere - sul rapporto tra il nostro corpo e la sua dimensione interiore in due momenti differenti, rispettivamente, l'uno nella seconda metà del '900 e l'altro nei nostri anni. Inutile dire che tali esposizioni non fanno che ribadire l'importanza di tale tematica nell'attuale momento storico, caratterizzato da enormi cambiamenti, sia a livello ambientale, basti pensare ai problemi legati al global warning e alle cosidette tecnologie verdi, sia sul piano culturale, con l'avvento di Internet e la conseguente globalizzazione che ci pongono in rapporto con il concetto di straniero e del nostro corpo con un ambiente sempre più tecnologizzato, già enfatizzato nelle arti visive attraverso la cultura cyberpunk.
Vince

Fotografia a Cinisello Balsamo



A Villa Ghirlanda è in svolgimento un'interessante mostra fotografica nella quale sono riuniti dodici scatti di grandi autori contemporanei, come Gabriele Basilico, David Bailey, Christian Vogt, i quali, fra gli anni sessanta e settanta hanno documentato con sguardi  e modalità differenti la percezione del corpo fisico e interiore, tema centrale nella cultura del tempo.
Il corpo come linguaggio - Museo di Fotografia Contemporanea - Villa Ghirlanda - Via Fovra 10 - Cinisello Balsamo. Ingresso liberi - Orari mer, gio, ven 15-19; sab, dom 11-19; lun, mar chiuso

Si veda la scheda di approfondimento sottostante

Tra anni Sessanta e Settanta il corpo diventa un tema assolutamente centrale nell’ambito della società, del costume, della comunicazione, dell’arte. Sono anni di grande cambiamento storico e culturale, gli anni della cultura hippie, del desiderio di pace e libertà, della liberazione sessuale, del movimento femminista, e poi della contestazione studentesca, delle lotte operaie, delle utopie per la costruzione di una nuova società nella quale la sfera del pubblico e quella del privato possano coerentemente coincidere. E’ il tempo dei grandi concerti di Woodstock e dell'Isola di Wight, del living theatre, del teatro di Grotowsky, dell'Odin Teatret. In arte, è la stagione degli happening di Fluxus, della Body Art, della performance, azioni artistiche per le quali la corporeità diventa il territorio privilegiato della ricerca dell'identità, sia sul piano esistenziale che sociale.

Anche nel campo della fotografia le ricerche sul corpo si intensificano, dando il via a una vasta produzione di immagini spesso inedite dal punto di vista linguistico. Il corpo, diventato vero e proprio linguaggio per gli artisti (secondo l’espressione utilizzata da Lea Vergine nel noto libro Body Art e storie simili. Il corpo come linguaggio), per la fotografia funziona da punto di partenza per la nascita di nuovi soluzioni espressive e narrative. La presa di coscienza sul corpo coincide spesso con la presa di coscienza sulle potenzialità della fotografia stessa.

La mostra propone al pubblico dodici artisti italiani e stranieri presenti nelle collezioni del Museo che utilizzano modalità diverse per indagare il tema della soggettività, della fisicità, degli immaginari del corpo sia femminile che maschile.

Günter Brus vive la fotografia come gesto finale che fissa il dramma del corpo coinvolto in azioni fortemente espressive; Maurizio Buscarino racconta e quasi disegna attraverso il mezzo fotografico le performance teatrali di Francisco Copello; Gabriele Basilico, a noi più conosciuto come fotografo di architettura e paesaggio, affronta, non senza ironia e senso del grottesco, il corpo abbronzato come oggetto plastico, quasi finto; Guido Guidi in alcune sue prime poco note ricerche presenta in modo semplice la nudità nell’immediatezza della quotidianità; David Bailey guarda ai tatuaggi non solo come scritture ma come veri e propri mondi che nascono sulla superficie del corpo; per Eugenio Carmi il corpo femminile diventa schermo sul quale proiettare le colorate forme astratte che stanno al centro della sua ricerca pittorica; surreale e onirica è invece la dimensione nella quale si muove Leslie Krims nelle sue piccole messe in scena cariche di stupore pop; Christian Vogt allestisce brevi storie intorno al corpo attraverso dittici e sequenze; Floris Neusüss realizza fotogrammi del corpo a dimensioni naturali, facendo coincidere performance e impressione fotografica; per Paolo Gioli il corpo è terreno di una profonda sperimentazione e di verifica delle caratteristiche materiche del materiale Polaroid; Carla Cerati applica lo sguardo di una donna alle forme del corpo femminile, in contrasto con una tradizione che vuole che la donna sia oggetto dello sguardo maschile; per Paola Mattioli il corpo è luogo ideale per dar vita alla forma dell’autoritratto, momento di coscienza di sé e insieme dell’uso dello strumento fotografico.

Le opere in mostra compongono un universo complesso, molto ricco dal punto di vista delle narrazioni e dei linguaggi. La fotografia si mette alla prova a più livelli, che toccano la dimensione teatrale, letteraria, psicologica, anche sociale, e che rivelano una volta di più quanto la ricerca fotografica tra anni Sessanta e Settanta si colleghi strettamente alle istanze vivacemente portate avanti dalle neoavanguardie, prima fra tutte la Body Art.

"Il Museo di Fotografia Contemporanea prosegue con il programma di valorizzazione delle collezioni presentando una nuova mostra di opere tratte interamente dal proprio archivio -dichiara Daniela Gasparini, Presidente della Fondazione Museo di Fotografia Contemporanea e Sindaco di Cinisello Balsamo- Un patrimonio di inestimabile valore, composto da circa 1 milione e 800 mila immagini, raccolto grazie a donazioni, depositi, acquisizioni e committenze. Negli ultimi anni il Museo si è dedicato in modo particolare all'ideazione di percorsi espositivi che permettessero di rendere fruibili al grande pubblico le sue collezioni, nella convinzione che patrimonio pubblico significhi realmente patrimonio di tutti".
La scheda è a cura di Roberta Valtorta in www.undo.net




Il ritratto secondo Candice Breitz
 
Factum Kang, Candice Breitz
Un'altra interessante mostra è quella dell'artista sudafricana Candice Breitz alla Galleria Kaufmann/Repetto di Milano dove, attraverso un'installazione video di sette coppie di schermi e un trittico, vengono posti a confronto dei gemelli monozigoti per evidenziare attraverso il carattere fisico di identità le differenze insite in ognuna delle coppie (e del trittico). Differenze da cogliere nell'osservazioni di comportamenti, emozioni, ragionamenti che emergono attraverso interviste dell'artista, finalizzate a cogliere l'individualità dei personaggi e quindi a farci riflettere sul tema dell'identità e delle differenze.
Candice Breitz. Factum - Galleria Kaufmann/Repetto - Via di Porta Tenaglia 7 - Orari mar-ven 11-19.30, sab 14.30-19.30 - Ingresso libero - Fino al 29 luglio

Si veda la scheda di approfondimento sottostante
 Installation view, Candice Breitz - Factum 

Se un aspetto peculiare del concetto d’identità risiede nel suo effetto performativo, attraverso pratiche continue di rappresentazione, l'ultimo progetto che Candice Breitz  (Johannesburg 1972) propone per la mostra factum alla galleria Kaufamm/Repetto di Milano, può rappresentare a pieno titolo la concretizzazione dello scarto tra il corpo, e l'immagine che si da e si ha di se. In mostra l'artista presenta un’installazione video, composta da coppie di schermi installati al muro in cui lo spettatore può assistere a otto interviste doppie, dove i protagonisti sono tutti  gemelli eterozigoti. L'artista enfatizza l'effetto mimetico prodotto dall’affiancamento dei gemelli, vestendoli e inquadrandoli nella stessa maniera. Ad ogni singolo vengono poste diverse domande: dal rapporto con l'altro fratello, alle passioni e gli impegni della vita, dalle aspettative ai ricordi. I video pur essendo molto lunghi (ognuno infatti raccoglie circa cinquanta minuti di intervista), permettono allo spettatore di inserirsi in qualsiasi momento del racconto in maniera fluida: grazie al montaggio infatti  l'artista riesce a far emergere ad ogni singola domanda i comportamenti adottati dai protagonisti, svelando le diverse reazioni.
Esempi ed esperienze prese da tutto il mondo si alternano: dai racconti di Hanna e Lauri  Kang, che ci parlano della difficile crescita nelle restrizioni della religione coreana, alle gemelle Pauline e Mary che si affrontano a colpi d’intelIigenza e vanità, all'unica trilogia che vede protagoniste le  sorelle Tang immerse nel business della moda. Candice Breitz ci mostra in questo modo come fare della differenza qualcosa che apre uno spazio di soggettività intensiva, di aumento della consapevolezza e della percezione. Il suo è uno sguardo su una corporeità in divenire che va oltre i confini dell'io e che ci lega in una rete d’incontri dove le parti si contaminano e influenzano. Nella project room della galleria è esposto The Character (2011): un progetto che la Breitz ha concepito mostrando a un gruppo di bambini indiani, differenti produzioni cinematografiche Bollywodiane, entrambe che vedevano come protagonista un giovane eroe in difficoltà. Il risultato del lavoro è un video in cui l’artista fornisce le diverse reazioni dei bambini nei confronti delle pellicole.
La forza del lavoro si evince nella restituzione di comportamenti stereotipati che i bambini rintracciano nei diversi protagonisti dei film. Costruire un progetto educativo intorno a queste evidenze significa guidare a consapevolezza la domanda/affermazione chi sono io e, insieme, sostenere e incoraggiare un’attenzione a chi non siamo. Significa cioè fare dell’esperienza della differenza e della relazione il nucleo di quei sentimenti di unicità di partecipazione capaci di salvarci dal rischio dell’uniformazione.

da exibart.com del 15 luglio 2011 




 

sabato 16 luglio 2011

Focus - di sabato 16 luglio 2011

Pier Paolo Pasolini alla Triennale



La mostra illustra i settantotto scatti in b/n eseguiti da un giovanissimo Dino Pedriali, al quale Pasolini affidò il compito di illustrare alcuni momenti della sua attività creativa, durante la stesura degli scritti che avrebbero dovuto far parte del romanzo  "Petrolio ". Lo scrittore viene raffigurato nei momenti più intimi, attraverso istantanee sul lavoro o ritratti nei quali emerge la solitudine dell'artista, ritiratosi nei pressi di Viterbo per la stesura del romanzo ma dove emerge anche quella intelettuale, sottolineata da una certa asprezza degli scatti riguardanti i suoi ritratti. Questi avrebbero dovuto, nelle intenzioni di Pasolini, accompagnare la presentazione della nuova opera, mai conclusa per il sopravvenire dell'improvvisa morte entro pochi giorni. Tali scatti, acquisiscono allora un ulteriore valore di estrema testimonianza, non solo cronachistica ma anche come emblema pregnante di quegli ultimi momenti di vita di uno scrittore che così emerge nel pieno del suo status di scrittore civile, impegnato nello sguardo critico su di un Italia in fase di forte mutamento culturale com'era l'Italia della metà degli anni settanta del secolo scorso. Qui di seguito si allega un approfondimento critico su tale aspetto.
Vince 


Sono settantotto scatti, opera di un allora venticinquenne Dino Pedriali. Ritraggono un Pierpaolo Pasolini inconsapevole di star trascorrendo le ultime settimane della sua vita. In qualche modo c'è anche questa specie di fascino morboso nell'interesse che inevitabilmente si avverte percorrendo gli spazi della Triennale di Milano che sino al prossimo 28 agosto ospiteranno la mostra dedicata al compianto artista di origine friulana, un reportage fotografico che svela un Pasolini sconosciuto, penetrando nella sua quotidianità, raccogliendone abitudini e punti oscuri, inquietudini e ritmi.
Pier Paolo Pasolini stava lavorando a Petrolio, un romanzo-inchiesta, rimasto incompiuto, che partendo dalle vicende petrolifere italiane legate all'Eni ed ad Enrico Mattei esplorava in maniera completa l'esagerato universo pasoliniano, addentrandosi fra i meandri di un linguaggio controverso, estremo nella forma, duro, necessario alla costruzione di un impianto narrativo talmente complesso che lo stesso Pasolini, in un lettera dell'epoca indirizzata ad Alberto Moravia, non esitava a definire“un libro che mi impegnerà per anni, forse per il resto della mia vita. Non voglio parlarne, però: basti sapere che è una specie di "summa" di tutte le mie esperienze, di tutte le mie memorie.“ Leggendo queste parole è forse possibile intendere il rapporto che Pier Paolo Pasolini aveva sviluppato nei confronti dell'opera che stava realizzando, una relazione ben più profonda di quella che solitamente un'artista è portato ad alimentare nei confronti della propria creazione, un lavoro nel quale lo scrittore voleva entrare integralmente, non soltanto con le parole dettate dalla sua mente, ma anche con il corpo.
Per questo fu direttamente lui a chiedere a Dino Pedriali di realizzare quel servizio fotografico, quegli scatti che oggi è possibile rivedere e che raccontano Pasolini nella sua casa alla Torre di Chia, in provincia di Viterbo, nel rudere medievale, dal fascino pacifico e malinconico, in cui aveva deciso di ritirarsi per scrivere il romanzo. Il volto di Pasolini emerge in tutta la sua durezza, circondato da libri, da riviste, dai fogli, dalle penne, rapito nell'atto di scrivere sulla sua Olivetti Lettera 22, concentrato su un dipinto, su un disegno.
Le mani, il corpo, costituiscono un altro elemento centrale di questa retrospettiva. Alcuni scatti sono costruiti come se il fotografo li avesse rubati, appostato da qualche parte nella boscaglia, pronto a ritrarre Pasolini nella sua intimità più fragile, nella sua nudità, nei suoi atteggiamenti più privati.
Ne viene fuori un lavoro vivo e toccante, in cui l'immagine di Pasolini è colta nella tristezza di un panorama drammaticamente distante, nella sua fatale ed estrema solitudine.
 da MAURO MONDELLO per ARTITUDE


Seguono alcuni video: l'uno inerente al soggetto della mostra e al lavoro di Dino Pedriali 



RassegnArte - di sabato 16 luglio 2011

Il fotografo Bob Krieger a Milano
 
Veruska-©Bob-Krieger                          https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjZj-_MqiIk6vuDXG4Z6_udyEhL1sBp_pdANOukf69JO6devGJ5Rk9UmPsR28vZ1573ZQ1FxuGj8Yxr4SBAYkPpP8DakjnPeHZfQK7oz2tFn49IE2OVyPSb8w9Qr7R-WyVvsM9opTck-akM/s1600/Affranto-53X53.jpg

Fino all'11 settembre sarà possibile visitare la mostra del grande fotografo americano di moda e ritrattista dei personaggi del cinema e del piccolo schermo. Le opere presenti raccontano di una grande attenzione verso la forma di un'immagine mediata, nel momento iniziale, da strutture formali attente al gusto neoclassico per arrivare alle ultime opere dove vi èla presenza di una sperimentazione sull'arrichimento, tecnico e propiamente materico, dell'opera stessa. 
KRGR. Bob Krieger. Ricordi tra fotografia e arte, Milano, Palazzo Reale. Orari: mar-dom 9.30-19.30, lun 14.30-19.30, gio-sab 9.30-22.30. Ingresso euro 9.00/7.50



Le fotografie di architettura di Francesco Vitali



Le opere proposte dalla Galleria Il Castello di Milano raccontano la ricerca condotta dal giovane fotografo, regista e light designers (classe 1971) sulle fotografie di architettura. In questo caso esse sono focalizzate sui più noti edifici di New York attraverso l'utilizzo della tecnica digitale, così da creare immagini quasi astratte di dimensione surreali, atte a trasformare le architetture in inedite forme, fantasiose ed estranianti, quasi "fiori di cemento " come recita il titolo della mostra.
Fiori di cemento. Galleria Il Castello Arte Moderna e Contemporanea, Via Brera 16, apertura lun 15-19, mar-sab 10-19, fino al 23 luglio

Il movimento dell'Arte povera in Italia

Qui di seguito troverete alcune fonti per uno sguardo generale sullo sviluppo di un importante movimento artistico italiano di grande fortuna in ambito europeo e americano, sviluppatosi tra Torino e Roma a partire dalla prima metà degli anni '60 del XX secolo, per opera del critico Guido Celant. Tale movimento annoverava tra le sue file autori come Mario Mertz, Fabrizio Ceroli, Alighieri&Boetti,Pistoletto, Kournellis e altri e si caratterizzavano per una poetica che poneva al centro l'utilizzo di materiali poveri e usati in un ottica di tipo concettuale.

 

Arte povera


































L'arte povera è un movimento artistico sorto in Italia intorno alla metà degli anni sessanta tra Roma e Torino.

Storia

Il movimento nasce nell'ambito della cosiddetta arte concettuale in aperta polemica con l'arte tradizionale, della quale rifiuta tecniche e supporti per fare ricorso, appunto, a materiali "poveri" come terra, legno, ferro, stracci, plastica, scarti industriali, con l'intento di evocare le strutture originarie del linguaggio della società contemporanea dopo averne corroso abitudini e conformismi semantici. Un'altra caratteristica del lavoro degli artisti del movimento è il ricorso alla forma dell'installazione, come luogo della relazione tra opera e ambiente, e a quella dell'"azione" performativa.
Germano Celant, il critico d'arte al quale si devono il nome, mutuato dal teatro di Jerzy Grotowski, e la teoria del movimento, afferma che l'arte povera si manifesta essenzialmente "nel ridurre ai minimi termini, nell'impoverire i segni, per ridurli ai loro archetipi".
Gran parte degli artisti del gruppo – Giovanni Anselmo, Jannis Kounellis, Mario Merz, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto - manifestano un interesse esplicito per i materiali utilizzati mentre alcuni – segnatamente Alighiero Boetti e Giulio Paolini – hanno fin dall'inizio una propensione più concettuale.
L'arte povera si inserisce nel panorama della ricerca artistica dell'epoca[1] per le significative consonanze che mostra non soltanto rispetto all'arte concettuale propriamente detta, che in quegli anni vedeva sorgere l'astro di Joseph Beuys, ma anche rispetto a esperienze come pop, minimal e Land Art (Richard Long).

Il movimento artistico

Alcuni esponenti del movimento furono Giovanni Anselmo, Giuseppe Penone, Mario Ceroli, Mario Merz, Piero Gilardi, Giulio Paolini, Sergio Lombardo, Cesare Tacchi, Fabio Mauri, Michelangelo Pistoletto, Pino Pascali, Pier Paolo Calzolari, Gilberto Zorio, Luciano Fabro, Jannis Kounellis e Gino Marotta. L'obiettivo di questi artisti era quello di superare l'idea tradizionale secondo cui l'opera d'arte occupa un livello di realtà sovratemporale e trascendente. Per questo motivo risulta importante la provocazione che deriva dall'opera di Giovanni Anselmo Scultura che mangia (1968, collezione Sonnabend, New York), formata da due blocchi di pietra che schiacciano un cespo di lattuga, vegetale il cui destino inevitabile è quello di deperire. Frequente è l'uso di oggetti viventi, come in Kounellis, il quale fissò un vero pappagallo su una tela dipinta, a dimostrazione del fatto che la natura dispone di più colori di qualsiasi opera pittorica.
Un'altra critica portata avanti dagli artisti dell'Arte Povera fu quella contro la concezione dell'unicità ed irripetibilità dell'opera d'arte: Mimesis, di Paolini, consiste in due identici calchi di gesso rappresentanti una scultura dell'età classica, posti l'uno di fronte all'altro con lo scopo di fingere una conversazione.
Durante la guerra del Vietnam, l'Arte Povera si avvicinò ai movimenti di protesta a sfavore dell'intervento degli USA: l'opera Vietnam di Pistoletto (1965, collezione Menil, Houston) raffigura un gruppo di manifestanti pacifisti, rappresentati con delle sagome fissate ad uno specchio, in modo tale che i visitatori della galleria si riflettessero in esso. Così facendo, la gente diventava parte integrante dell'opera stessa, venendosi a creare una sorta di interazione tra la creazione artistica ed il pubblico spettatore.
L'attenzione agli stili di vita delle molteplici culture diverse da quella occidentale è presente nelle opere di Merz: i suoi tanti igloo, creati con differenti materiali (ad esempio metallo, vetro, legno, etc.), puntualizzano la capacità di adattamento di un popolo al suo determinato ambiente.
La natura è un altro dei temi trattati da diversi artisti, come Marotta e Gilardi (Orto, 1967), una natura, però, rivisitata in chiave artificiale, come per attualizzare la materia e renderla più vicina ad un sentimento di cambiamento epocale che coinvolge l'uomo e la sua percezione del mondo. Percezione che è resa incerta nei quadri specchianti di Pistoletto, che si aprono letteralmente al mondo assorbendo tutto ciò che vi si trova di fronte e cambiando al variare dell'ambiente che li contiene.
Al contrario di questi, gli "schermi" privi di immagine con i quali Mauri riproduce il telone cinematografico e che influenzeranno i primi lavori di Mario Schifano. Tuttavia le sue creazioni si aprono, talvolta, sulla realtà quotidiana più popolare (Casetta Objects Achetés, 1960), o sugli avvenimenti di cronaca più impressionanti (La luna, 1968), che lo porteranno a sviluppare una profonda riflessione su arte e storia.
Molti artisti lavorano sull'idea di un'immagine stereotipata, come Ceroli (Si/No, 1963), che tratta in modo seriale silhoutte prese dalla storia dell'arte, o insiemi di figure umane moltiplicate o serializzate con una tecnica che ricorda il bricolage. Sono considerati stereotipi anche i "gesti tipici" di Lombardo (Gesti tipici-Kennedy e Fanfani, 1963), i ricalchi di immagini di Mambor o le scene da rotocalco o di quadri famosi rivisitate in stoffa variopinta da Tacchi (Quadro per un mito, 1965).
 
Bibliografia
  • Giovanni Lista, Arte povera, 5 Continents Editions 2006
  • Francesco Poli, Minimalismo, Arte Povera, Arte Concettuale, Laterza 2002
  • Mirella Bandini, 1972 arte povera a Torino, Allemandi 2002
  • Germano Celant, Arte dall'Italia, Feltrinelli 1988
  • Adachiara Zevi, Peripezie del dopoguerra nell'arte italiana, Einaudi 2005
da http://it.wikipedia.org/wiki/Arte_povera

Sull'Arte povera si veda inoltre la scheda sottostante

 Movimento artistico nato in Italia, tra Roma e Torino, intorno al 1966.
In generale riconducibile all'ambito dell'arte concettuale, si distingue per il rifiuto di mezzi espressivi tradizionali (pittura, scultura) e l'impiego, viceversa, di materiali «non artistici», «poveri» appunto, sia naturali e organici sia industriali (legno, pietra, terra, vegetali, stracci, plastiche, neon, scarti industriali), assunti nella loro espressività primaria e immediatezza sensoriale e spesso proposti sotto forma di installazioni in stretto rapporto con l'ambiente o con «azioni» dell'artista.
Secondo il suo primo e principale teorico, Germano Celant, che mutuò il termine dal teatro di J. Grotowski, l'Arte Povera consiste essenzialmente «nel ridurre ai minimi termini, nell'impoverire i segni, per ridurli ai loro archetipi».
Nell'atteggiamento di negazione e dissacratorio dell'arte povera c'è in realtà una volontà di fondo indistruttibile e poetica di riappropriarsi di valori primari come il senso della terra, della natura, dell'energia pura, della storia dell'uomo. Pur nel contesto estremamente politicizzato degli anni '60 l'arte povera appare tuttavia distante dai problemi politici ed economici delle masse nella stessa misura in cui rifiuta ogni inserimento (dell'arte come dei suoi destinatari, le masse) nel sistema e quindi qualsiasi trasformazione di quest'ultimo, ma ne propugna un radicale ribaltamento più vicino all'utopia che al riformismo. La volontà di portare l'arte alle masse si unisce con quella di aprire meccanismi mentali liberatori nei fruitori dell'arte soprattutto attraverso l'uso dello scarto, dell'intuizione ovvia ma impensabile nell'ordine prestabilito di abitudini e comportamenti sociali e personali. Il risultato è un linguaggio per lo più criptico, limpido ed evidente solo per chi come l'artista e il critico possiede la "chiave" per accedere alla dimensione diversa, libera e poetica, della speculazione, dell'approfondimento dei valori dello spirito e delle verità insite nell'arte.
Ne sono stati esponenti Giovanni Anselmo, Alghiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro, Piero Gilardi, Jannis Kounellis, Marsa e Mario Merz, Pino Pascali, Giulio Paolini, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Gilberto Zorio.
Pur distinguendosi ciascun artista per una propria e originale poetica, molti degli esponenti dell'Arte Povera sono accomunati dall'interesse per la dimensione energetica e vitale dei materiali.
Pino Pascali (1935-1968), che nel brevissimo arco di tempo della sua produzione giunge a vertici altissimi di sintesi poetica e con istintiva felicità creativa e assoluta coerenza attua una totale presa di coscienza della necessità di recupero dei valori primari dell'esistenza e nello stesso tempo di sottrazione dell'arte al gioco della mercificazione. Esemplari sono le opere che presentano riferimenti a elementi naturali come il mare o la serie degli animali che realizza con materiali tecnologici spaesanti anche per la tecnica esecutiva a metà tra il modellismo e la simulazione ludica. Si afferma la assoluta arbitrarietà dell'agire dell'artista nei confronti di tutto un sistema economico-sociale fondato sul possesso e l'accrescimento del possesso: servirsi di setole acriliche non per fabbricare scope e spazzolini ma bruchi giganti, significa evidentemente ingannare contemporaneamente la natura con l'industria e l'industria con la natura.


Pino Pascali: Mare (1967)

Jannis Kounellis recupera elementi vegetali e animali, crea oggetti con materiali grezzi, come il fuoco, sacchi di juta riempiti di granaglie, carbone, legno, carni, fiori, o materiali di sintesi come cera, oro e piombo, a tratti associati a citazioni di frammenti classici intesi come simboli di un linguaggio perduto, chiave drammatica ma tuttavia necessaria per la comprensione del presente.


Jannis Kounellis: Senza titolo (1980)
 
Le opere di Mario Merz (1925) e Gilberto Zorio (1944) sono esemplari della ricerca sulla possibilità di un incontro tra natura e cultura nella coscienza dell'uomo. Per fare questo gli artisti assumono elementi tratti dalla natura o simulanti elementi o eventi naturali confondendoli con l'atto e l'effetto della creazione artistica. Elementi primari come pelli di animali (Zorio), arbusti (Merz) si mescolano con altri tecnologici come il neon, prediletto per la sua natura di conduttore neutro di energia, e mettono in essere confronti e interazioni evidenziando il rapporto tra energia mentale e energia fisica. Altri materiali come metallo fuso, acidi corrosivi, lampade voltaiche (Zorio), pongono ancora di più l'accento sull'essere, sulla trasformazione, sulla durata, sull'azione, a discapito della considerazione di una realtà offerta alla contemplazione e trasformata così inevitabilmente in elemento già distante dalle urgenze e dalle necessità del presente.

Gilberto Zorio: Stella per purificare le parole ( in pelle, legno, acciaio, corda, 1978) 


Mario Merz - Chiaro oscuro (neon, fascine, struttura metallica, vetro, 1983)

Giulio Paolini (1940), inizialmente operante nel gruppo dell'Arte Povera, è un caso a parte nel panorama concettuale. Anche la sua è una continua meditazione dell'arte sull'arte e in questo si colloca al centro della poetica del movimento, ma più che sul sistema linguistico e verbale egli si basa sul sistema delle immagini e più precisamente della visione. Spesso le sue opere sono incentrate proprio sui modi e sull'essenza del vedere e su rimandi mentali operati attraverso gli elementi oggettivi dell'opera, come nel "Giovane che guarda Lorenzo Lotto", riproduzione di un ritratto frontale di giovane di Lotto, che guardando lo spettatore, grazie alla conoscenza del titolo, fa sentire chi guarda al posto del maestro del Cinquecento, con uno sfasamento di tempo e una sorta di transfert che cala lo spettatore in una dimensione di realtà al di là dell'apparenza fisica del dipinto.


Giulio Paolini - Giovane che guarda Lorenzo Lotto 1967 

Nel panorama internazione delle neoavanguardie, l'Arte Povera trova ampie corrispondenze in ricerche analoghe avviate negli stessi anni in altri paesi, per esempio in Germania da J. Beuys e sotto diverse etichette (Land Art, Earthworks) in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, dove l'Arte Povera sottolinea ora l'aspetto di rifiuto dei materiali usati, ora il valore dato alla pura azione, ora l'intervento «ecologico» nel paesaggio, ora infine l'operazione estetica nel suo momento teorico anziché nei risultati prodotti.

da http://www.scultura-italiana.com/

E' inoltre necessario ascoltare una registrazione e vedere qui di seguito due video sull'analogo tema.

 Radio 3 podcast tratto dalla trasmissione del 14 luglio "Tre colori  "Elena del Drago racconta L'arte povera"



venerdì 15 luglio 2011

RassegnArte - di venerdì 15 luglio 2011

Da Cinema e Fotografia a Fotografia e Cinema

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Inizia oggi alle h.21.00 allo Spazio Oberdan di Milano la rassegna cinematografica "Cinema e fotografia", organizzata in collaborazione con la Cineteca Italiana e Contrasto con la quale verrà proposta un'ampia panoramica sul rapporto fra autori cinematografici e fotografi, indagando sull'interscambiabilità dei ruoli e quindi sulla relativa reciprocità dello sguardo. Il film di questa sera, Life troughs a lens, dedicato ad Annie Liebowitz, l'importante ritrattista americana, autrice di alcune delle più note copertine di Rolling Stones, inaugura il ciclo per proseguire nei giorni successivi con proiezioni di films come La finestra sul cortile di Hitchcock o Blow up di Michelangelo Antonioni, per arrivare fino ai nostri giorni, per esempio con fotografi del calibro di Pete Souza e le sue foto sui presidenti americani immortalati all'interno dello studio ovale della Casa bianca.

Vince


Fotografia e sviluppo sostenibile
 
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La Galleria Carla Sozzani fino al 31 luglio ospiterà la mostra "Prix Pictet - Growth" che include gli scatti degli autori finalisti dell'omonimo prestigioso concorso fotografico dedicato allo sviluppo sostenibile, nato nel 2008 dalla collaborazione fra la banca svizzera Pictet & Cie e il Financial Times. Sono dodici i fotografi finalisti  scelti tra i cinquecento segnalati da curatori, critici e galleristi internazionali. Il vincitore è risultato l'americano Mitch Epstein con un lavoro che vuole interpretare lo sviluppo in tutte le sue forme possibili. La mostra prevede anche il catalogo degli autori finalisti del concorso. Galleria Carla Sozzani, Corso Como 10, apertura lunedì 15.30-19.30, martedì-domenica 10.30-19.30 mentre mercoledì e giovedì 10.30-21.00, fino al 31 luglio.

Vince

giovedì 14 luglio 2011

RassegnArte - di Giovedì 14 luglio 2011

Il Laos nei chiostri dell'Umanitaria

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Si apre oggi a partire dalle h.18.00 in Via Daverio 7, nei chiostri dell'Umanitaria, dietro al Tribunale, un altro momento della rassegna sul mondo orientale promossa dalla fondazione Humanitas, focalizzata sul Laos, con immagini e testimonianze dirette. Pino Lovati introdurrà i suoi due documentari Sabaj-dij Laos e Laos tesori del sud. In serata vi saranno proiezioni di Astrid Angehrn e Roberto Cossu inerenti ritratti e bellezze naturalistiche di questa terra. L'ingresso è da Via San Barnaba 48.

Vince


La mostra Rockstar

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Si apre oggi alle h.19.00 la mostra Rockstar alla Libreria 121 + di Via Savona 17/5 con i disegni di Fausto Gilberti. L'autore indaga il mondo della musica con opere grafiche riguardanti i grandi gruppi e cantanti rock come Rolling Stone e Cure. L'inaugurazione presenterà le opere e il libro che l'accompagna insieme ad un aperitivo e musica live, a sottolineare il soggetto della mostra.

Vince