mercoledì 29 giugno 2011

Un libro per riflettere: "Italia Reloaded"

Copertina 14941

                                                                                                            
scavi archeologici paestum

                                                                                                          
Il testo apparso in questi giorni in libreria porta una serie di considerazioni estremamente interessanti sul rapporto fra la gestione dei beni culturali e la dimensione sociale ed economica dell'Italia di questi anni.
In particolare i due autori sviluppano una considerazione riguardo a tale relazione: la condizione di estrema difficoltà delle nuove generazioni ad entrare nel mondo del lavoro e quindi di poter incidere nella società con nuove forze ed idee. Questo aspetto viene calato al centro della riflessione sul rapporto fra la condizione di stallo economico in cui la nostra Nazione si trova ormai da diversi anni e il preoccupante stato in cui versa il binomio conservazione - valorizzazione del patrimonio artistico italiano. Quest'ultimo, sottolineano i due autori, rimane ancora aggrappato a concezioni e schemi vecchi e obsoleti, i quali da troppo tempo impediscono all'innvazione, alla crreatività ed alla produzione culturale di divenire fattori propulsivi. Non solo, tali elementi possono costituire una delle soluzioni da sfruttare sul versante economico come fattori dinamici per una ricostruzione identitaria del Paese. 
La situazione nella quale versano i Beni culturali in Italia è rivelatrice del blocco psicologico all'interno del quale la nazione è rinchiusa: ancora gestita da una generazione ormai invecchiata, paurosa delle innovazioni e che non investe sulla nuova generazione che verrà, generando forme di amnesia collettiva e di paralisi. La questione del ruolo delle arti contemporanee a questo proposito è un altro elemento rivelatore di un diffuso modo di essere, il rifiuto verso di essa è il timore a considerare quelle inedite forme di esperienze verso le quali è naturalmente proiettata qualsiasi forma di sperimentazione, propia dei giovani e quindi il rifugiarsi verso le più rassicuranti forme d'arte.
La Radio Tre della Rai, all'interno della trasmissione  "Fahrenheit " ha discusso con uno degli autori sul contenuto del libro. All'interno del Post vengono proposti una brevissima scheda di presentazione e un link che rimanda al sito della trasmissione per ascoltare il colloquio.
Vince


Paradossalmente, l'Italia, il paese "che ha la cultura nel suo DNA" è anche quello che è rimasto, in questo campo, aggrappato a vecchi schemi e a concezioni obsolete, prima fra tutte la distinzione netta tra salvaguardia del patrimonio artistico e produzione culturale contemporanea. Lo scrigno in cui conserviamo il patrimonio artistico è però diventato, di fatto, una tomba, che ospita il rimosso della cultura e imprigiona il paese da almeno trent'anni in una condizione di amnesia collettiva e di paralisi creativa, oltre che imprenditoriale e organizzativa. Da questa trappola bisogna uscire: secondo gli autori, innovazione, creatività e produzione culturale sono gli unici elementi in grado di rompere il blocco psicologico che penalizza l'Italia, anche sul versante economico, diventando i fattori propulsivi della ricostruzione identitaria del paese.

Christian Caliandro, storico dell'arte, svolge attività di ricerca presso la Fondazione Università IULM di Milano. Ha pubblicato "La trasformazione delle immagini" (Mondadori Electa, 2008). Collabora con "Exibart". Pier Luigi Sacco è professore ordinario di Economia della cultura nell'Università IULM di Milano. E' autore di numerose pubblicazioni su riviste e volumi collettanei. Collabora con "Flash Art".

da Rai Radio Tre - I libri di Fahrenheit - 27 giugno 2011





domenica 26 giugno 2011

RassegnArte - di domenica 26 Giugno 2011

 Il nuovo polo artistico milanese

Nasce un grande progetto culturale per la città di Milano da parte della nuova giunta cittadina in Piazza della Scala

L'iniziativa del gruppo bancario Intesa Sanpaolo di aprire nelle sue sedi storiche di Milano un grande museo - con spazio espositivo che risulta doppio rispetto a quello della Pinacoteca di Brera (8.300 metri quadrati espositivi) - è nel solco di questa tradizione, che l'ipercapitalismo nichilista appariva aver cancellato. E parzialmente cancellato persino a Milano, dove sino all'età di Mattioli, Olivetti e Mattei la finanza e l'impresa avevano svolto un ruolo determinante nello sviluppo civile, accanto a quello del cattolicesimo ambrosiano.
MILLE OPERE - Così, dopo il museo Diocesano aperto anni fa, e dopo l'inaugurazione del civico museo del Novecento l'autunno scorso, ora la prima banca italiana destina ampi spazi per esporre opere d'arte: inizialmente saranno 200, ma entro il 2012 circa mille tra quelle del suo patrimonio costituito da diecimila pezzi. Questa iniziativa fa parte di «Progetto Cultura», un vasto impegno della banca nel campo dei Beni culturali. Un impegno che comprende la già avvenuta apertura di palazzi storici diventati musei (Palazzo Zevallos a Napoli e Palazzo Leoni Montanari a Vicenza, più una prossima apertura a Torino) e l'iniziativa «Restituzioni», con la quale la banca ha finanziato il restauro di 600 opere indicate dalle sovrintendenze. «Si tratta di un progetto - ha dichiarato il direttore del «Corriere della Sera» Ferruccio de Bortoli introducendo ieri la presentazione dell'iniziativa - che è un'offerta nazionale e federalista insieme, perché intende unire e non dividere».

IL QUADRILATERO - Il nuovo museo milanese si chiamerà Gallerie di Piazza Scala e darà vita a un «nuovo quadrilatero» - così non ci sarà solo quello della moda (guarda la mappa). Coinvolge quattro palazzi storici riadattati dall'architetto Michele De Lucchi (il Comitato scientifico del progetto è costituito da Gianfranco Brunelli, Aldo Grasso e Fernando Mazzocca). Si tratta di Palazzo Anguissola, un edificio commissionato dal conte Antonio Anguissola a Carlo Felice Soave nel 1775; l'ampliamento di questa dimora realizzato nel 1829 dal maestro del neoclassicismo Luigi Canonica; l'adiacente Palazzo Brentani-Greppi e l'ex sede della Banca Commerciale, costruita su piazza Scala da Luca Beltrami tra 1909 e 1911 in stile rinascimentale. Nelle oltre venti sale ricavate all'interno di questi spazi le opere saranno collocate con particolare attenzione al rapporto tra genere figurativo e contesto decorativo. A metà settembre aprirà la prima parte di questo intervento, quella di Palazzo Anguissola dedicata alle collezioni del XIX secolo. Qui saranno esposte 200 opere provenienti sia dalle collezioni della banca sia da quelle della Fondazione Cariplo («135 quadri sui 767 di proprietà della nostra fondazione» ha dichiarato il presidente della Cariplo Giuseppe Guzzetti) con particolare attenzione per la stagione romantica e risorgimentale. Ci saranno opere di Francesco Hayez, Gerolamo Induno, Angelo Inganni, ma anche di Mosè Bianchi, Gaetano Previati e Aristide Sartorio. Un allestimento particolare sarà qui riservato ai bassorilievi del Canova.

da Pierluigi Panza, in Corriere.it del 23 giugno 2011

 IL "LEVIATANO" DI KAPOOR

E' visibile in questi giorni la nuova e monumentale opera di Kapoor, l'artista anglo-indiano che incentra la sua ricerca sull'immaterialità dell'arte.

PARIGI  - E' un colpo d'occhio impressionante: un enorme pallone, anzi tre, gonfiati all'interno del Grand Palais. Ne riempiono lo spazio (72 mila metri quadri) quasi per intero, fino a sfiorare la meravigliosa "verrière", la vetrata che fa da tetto al palazzo sui Campi Elisi (costruito per ospitare l'Esposizione Universale del 1900), fino a entrare nel suo gioco di ferro e di vetro. Invitato dalla quarta edizione di MONUMENTA (aperta ieri, fino al 23 giugno),  Anish Kapoor, scultore, architetto, artista star angloindiano (nato a Bombay nel '54, arrivato a Londra nel '73), ha immaginato un'opera enorme, dall'interno cavo, e l'ha chiamata "Leviathan" come il  mostro marino della Bibbia.

E' una forma composita, sono tre sfere di tessuto plastico saldate tra loro; ognuna occupa un'ala del Grand Palais. Se ne stanno lì, leggere e pesantissime, costantemente gonfiate da due ventole; sono di un colore tra il marrone e il melanzana (il colore del sangue, dice Kapoor) scuro come i sentimenti che l'opera suscita. Non a caso Kapoor ha voluto dedicarla all'artista cinese Ai Wei Wei, arrestato dal regime, del quale da molte settimane non si hanno più notizie. Dopo aver passeggiato tra le sue meravigliose, monumentali curve esterne, nella "balena" si può entrare in trecento e vi sono previsti spettacoli di teatro e di circo. E'
soltanto all'interno che le tre forme (seni di donna? mongolfiere? le navate di una cattedrale?) diventano veramente distinguibili, e la struttura si fa chiara, trasparente: di giorno si intuiscono le forme della "verrière" , di sera sembra di essere dentro a una lanterna rossa. "La vallata oscura, matrice del mondo, è anche la matrice della mia percezione" dice Kapoor, il quale spera "di ritornare all'interno della caverna, verso il buio, verso forze oscure, mobili, indefinibili". Ha pagato di tasca sua il materiale dell'opera che gli appartiene quindi interamente (e chissà dove finirà dopo MONUMENTA).

Attentissimo a forme e colori, non è la prima volta che Anish Kapoor lavora su una geometria complessa e su opere monumentali: basti pensare all'altrettanto impressionante  "Marsyas", creato nel 2002 per la Sala delle Turbine, ingresso della Tate Modern a Londra, o all'ipnotico "Yellow" installato due anni fa alla Royal Academy sempre a Londra. "Marsyas" era stata realizzata in pvc rosso fuoco dalla stessa fabbrica francese che ha creato i 166 pannelli del "Leviathan": 12 mila metri quadrati di tessuto. "Trama e ordito sono in poliestere" dice Françoise Fournier della "Serge Ferrari", "mentre la copertura è in polymer non allungabile. E' un tessuto molto stabile che crea un'ondulazione misurata". Ci sono voluti sette giorni e trenta uomini per saldare insieme i pannelli di tessuto e per gonfiare la struttura (lunga cento metri, larga settantadue e alta trentatre). La fila fuori dal Grand Palais è già lunghissima.

Da Laura Putti, in Repubblica.it del 16 maggio 2011
 

sabato 25 giugno 2011

Lucio Fontana e lo Spazialismo

All'interno di questo Post vi sono notizie relative alla poetica e ai caratteri stilistici dell'autore e della corrente dello Spazialismo che contribuì a fondare. 


 Lucio Fontana (Rosario, 19 febbraio 1899Comabbio, 7 settembre 1968) è stato un artista, pittore e scultore italiano nato in argentina, fondatore del movimento spazialista.

La sua attività artistica inizia nel 1921 lavorando nell'officina di scultura del padre Luigi Fontana e, del collega e amico del padre, il molinellese Giovanni Scarabelli.
Sin dal 1949, infrangendo la tela con buchi e tagli, egli superò la distinzione tradizionale tra pittura e scultura. Lo spazio cessò di essere oggetto di rappresentazione secondo le regole convenzionali della prospettiva. La superficie stessa della tela, interrompendosi in rilievi e rientranze, entrò in rapporto diretto con lo spazio e la luce reali.
Le sue tele monocrome, spesso dipinte a spruzzo, portano impresso il segno dei gesti precisi, sicuri dell'artista che, lasciati i pennelli, maneggia lame di rasoio , coltelli e seghe.
Tutto è giocato sulle ombre con cui, specie la luce radente, sottolinea le soluzioni di continuità.
Nato in Argentina, dove visse fino a sei anni e tornò durante la seconda guerra mondiale, Fontana giunse alla sua poetica meditando la lezione del barocco, in cui, come egli scrisse le figure pare abbandonino il piano e continuino nello spazio.
Del movimento spazialista egli fu il fondatore e il più noto rappresentante, presto affermato anche sul piano internazionale.
Come gesti apertamente provocatori vanno intese certe sue tele monocrome che, quali i buchi ed i tagli, scandalizzarono il pubblico anche per la facilità con cui è possibile rifarle[1].
Numerosi furono infatti i falsari, ma pochi con un segno altrettanto sicuro. Fontana, per cautelarsi, scrisse sul retro di ogni tela frasi insensate, semplice appiglio per una perizia calligrafica.
La moglie Teresita Rasini, nel 1982, ha dato vita alla Fondazione Lucio Fontana.

I caratteri formali e la poetica di Fontana

La grande svolta artistica del maestro italo-argentino risale al 1947: firma il “Primo Manifesto dello Spazialismo”.
Le sue capacità espressive sono la coerenza, il rigore della logica e la ferma volontà di affermare un concetto. Le opere messe da lui in luce sono quindi denominate “Concetti Spaziali”, perché tutto nasce, vive e muore nella dimensione e qualsiasi cosa si faccia determina un'ampiezza.
Lucio Fontana nega qualsiasi immagine dello spazio rappresentato dalla pittura e dalla scultura tradizionale. Come pittore riesce ad andare oltre la pittura, oltre la tela, sonda l'area al di fuori del quadro che è pure esso una parte di spazio.
Nel 1947 annulla la pittura: colora in forma monocroma la tela e poi, con cura, la trafigge con un punteruolo.
L’artista distrugge anche gli schemi della scultura classica: modella grosse sfere e poi le spacca, entrando così in un'altra dimensione spaziale.
Nella fine degli anni ’50, Fontana realizza nuove tele, sempre in unico colore, e le fende con un taglierino. Questi tagli su tela, denominati ”Concetti Spaziali – Attese” diventano il simbolo dell’Arte Moderna Italiana nel Mondo.
Il taglio è un gesto che attraversa la tela, impiega un tempo di percorso, ovvero un’attesa, ed afferma una continuità tra lo spazio esterno ed interno al piano.
La lama di  Lucio Fontana è, inoltre, simbolo di istinto sessuale maschile che attraversa l’intimo femminile (tela) e da questo incontro d’amore si genera un nuovo spazio.
Con tali gesti netti e decisi, l’artista ha disintegrato la finzione spaziale della pittura e della scultura, annullando, così, una finzione, Fontana mette in luce una nuova realtà. Il taglio sulla tela è, senza dubbio, un simbolo nel simbolo: la volontà di “tagliare” le radici a tutte le tradizioni artistiche per accedere ad un nuovo “spazio” dell'Arte.
Lo scandalo provocato dalle sue “Attese” ha distrutto il muro di confine del mondo della creatività. Il taglio di Fontana è un taglio che divide, da un lato segna l’apice filosofico del genio concettuale, dall’altro apre un varco a grosse polemiche da parte di chi ha una visione sorpassata, miope ed incompleta dell’Arte e non riesce o non vuole capire un’opera che “chiunque potrebbe fare”.

Sul movimento Spazialista


Il movimento spazialista è nato intorno al 1950, fondato da Lucio Fontana.
Il primo testo teorico alla base della nascita dello Spazialismo è stato ideato da Fontana nel 1946 a Buenos Aires, in Argentina: il cosiddetto "Manifiesto Blanco", dove si iniziano a delineare le urgenze di un superamento dell'arte come sino ad allora concepita e ormai "stagnante", inserendo le dimensioni del tempo e dello spazio.
I pittori spazialisti non hanno come priorità il colorare o dipingere la tela, ma creano su di essa delle costruzioni che mostrano agli occhi del passante come, anche in campo puramente pittorico, esista la tridimensionalità. Il loro intento è dar forma alle energie nuove che vibravano nel mondo del dopoguerra, dove la presa di coscienza dell'esistenza di forze naturali nascoste come particelle, raggi, elettroni premeva con forza incontrollabile sulla "vecchia" superficie della tela. Tali forze troveranno lo sfogo definitivo nel rivoluzionario gesto di Fontana, che bucando e tagliando la superficie del quadro, fece il passo finale di distacco dalla "vecchia" arte verso la nuova arte spaziale.
Oltre all'iconico taglio del caposcuola Fontana vanno ricordate le più note ricerche degli altri artisti spazialisti:
Mario Deluigi ha inciso la tela grattandone il colore e creando con i suoi graffi fantasmagoriche nuvole di scintille che prefiguravano i movimenti delle particelle nella luce.
Roberto Crippa ha ricreato sulla tela vertiginose spirali nelle quali si può riconoscere la forma intima dell'energia, come nelle orbite degli elettroni attorno all'atomo.

da Lucio Fontana di Wikipedia
altre fonti disponibili: Edeordo Valerio in Arte di Lucio Fontana



L'"Arte negra" e le Avanguardie

All'interno di questo breve post troverete alcuni riferimenti utili per la conprensione di un fenomeno fondamentale per la nascita e la caratterizzazionedi aspetti formali e poetici delle avanguardie artistiche del Primo Novecento.

L'ampia diffusione di manufatti appartenenti alla cultura artistica africana iniziò sin dalla seconda metà dell' '700 con i reperti giunti dalle colonie francesi dell'Africa e Oceania. Accolti all'inizio come semplice fenomeno di curiosità e prova della barbarie culturale dei popoli colonizzati, a partire dalla seconda metà dell'Ottocento divennero testimonianza della varietà delle forme artistiche e fenomeno di studio antropologico. Fu solamrnte tra la fine del secolo e gli inizi del '900 che questa produzione artistica iniziò a destare l'interesse degli esponenti più avanzati della cultura figurativa europea, inizialmente nella forma di un'ammirazione istintiva ed inconscia che però non sfociava in soluzioni formali, rimanendo confinata all'interno del gusto personale dell'artista: non si sapeva infatti ancora come poter sfruttare gli inediti caratteri stilistici di tale produzione artistica. In seguito invece, con la formazione di una maggiore consuetudine visiva verso tali forme dovuta alle sezioni istituite nei padiglioni delle esposizioni universali e con la creazione di settori museali o di veri e propi musei antropologici (il Trocadero a Parigi), gli artisti più acuti iniziarono a sfruttare volutamente gli inediti caratteri offerti da questi reperti.

Museo Etnografico del Trocadero (Paris) que suministro el material expuesto.
 
In questo periodo infatti, alcune correnti artistiche iniziarono una sistematica ricerca all'interno delle forme prodotte dalle civiltà artistiche di epoche precedenti, con lo scopo attingere a formule nuove che si ponessero come esempio di alterità rispetto alla consuete soluzioni formali accademiche offerte dalla cultura europea del tempo. Gradualmente, correnti artistiche come la Secessione austriaca, Die brucke in Germania, il Cubismo in Francia o singole personalità come von Marées, Klimt, Gauguin, solo per citarne alcuni, introdussero elementi semplicemente iconografici o stilistici tratti dalle civiltà centroamericane, oppure dell'Egitto antico, atri tratti dalla grafica giapponese o, addirittura, rivolgendosi ancora ma con uno sguardo inedito, alle fasi della cultura del periodo arcaico greco. Tutto ciò sfociò all'interno di una prospettiva di ricerca chiamata Primitivismo

venerdì 24 giugno 2011

Presentazione e breve recensione de "Il futuro del Classico" di Salvatore Settis

http://www.rositour.it/Arte/Lichtenstein%20Roy/Tempio%20di%20Apollo.jpgQuesto volume ha il pregio di riassumere in modo coinciso ed efficace l'evoluzione del concetto di Classicità nel passaggio dal periodo medievale ai nostri giorni, seguendo il filo dei cambiamenti culturali e sociali che hanno segnato le diverse epoche. In tal modo emerge come la nozione stessa di classicità sia estremamente mutevole e relativa, essendo in diretto rapporto a quegli aspetti che ogni civiltà decide di volta in volta di privilegiare. Ne consegue che non esiste una nozione di Classicità unica per tutte le epoche storiche ma, invece, diverse Classicità. L'autore, in questo testo, propone alcuni esempi ti tale mutuazione e cerca, nel contempo, di sottolineare anche quegli aspetti comuni che ci permettono di riconoscere la Classicità come tale.


Vince


Salvatore Settis, docente di Storia dell’arte e Archeologia presso la Scuola Normale Superiore di Pisa e rettore di questa, ha da poco pubblicato, con Einaudi, il breve volume “Futuro del ‘classico’”. L’opera si compone di quindici paragrafi nei quali l’autore, attraverso una ricca e puntuale documentazione, tratta il problema della “classicità”, cioè della fase antica, greco-romana, della storia e cultura europee, del suo significato, valore e funzione nei tempi di formazione delle  nazioni occidentali  fino a giungere ai giorni nostri e ad  ipotizzare il futuro. In ogni paragrafo è come se si ripartisse dall’inizio del problema e si volesse risolverlo senza, però, farlo dal momento che alcuni aspetti di esso rimangono sempre sospesi.
Lo stile è chiaro, scorrevole, molto controllato e l’opera  attira fin dalle prime pagine anche perché recupera e propone periodi storici, fenomeni politici, culturali, artistici, la cui conoscenza è oggi quasi scomparsa essendo essi molto lontani e non ritenuti  importanti in un contesto come l’attuale sempre pronto ad accogliere novità, a rinnovarsi. Leggendo Settis si ha il piacere di riscoprire date, opere, tempi, luoghi, eventi, ambienti, che ormai sono sfuggiti al diffuso livello di conoscenza, di sentirli vicini, attuali, di constatarne l’azione pur in ambiti completamente diversi dai loro d’origine. Il passato più remoto, l’antico torna a valere in questo libro giacché ovunque, in ogni epoca compresa la nostra, si scopre la sua azione e si discute su come interpretarla anche mediante continui riferimenti a posizioni critiche, teorizzazioni di studiosi antichi e moderni, italiani e stranieri. L’opera contiene, quindi, molte e diverse interpretazioni del “classico” avvenute nel tempo, il loro confronto e il risalto che il Settis fa acquisire ad alcuni elementi o aspetti di esse senza mai giungere a delle acquisizioni uniche, inalterabili e lasciando aperto il problema se ritenere quella “ classica” un’epoca, una fase della storia e umanità occidentali ormai conclusa oppure ancora presente e valida, se decretarne la fine o continuare a riferirsi ad essa, a convalidarla ed utilizzarla per la formazione delle nuove e future generazioni. Dall’architettura alla scultura, alla letteratura, alla filosofia, allo spettacolo corre lo sguardo del Settis e sempre si mostra pronto a cogliere quanto, in tali discipline, è avvenuto in epoca classica ed ancora avviene, a rilevare se c’è stata continuità o frattura tra prima e dopo, se la loro storia è da intendere come un processo”ritmico”, che, cioè, risorge in continuazione oppure diviso, separato in periodi determinati, se la vera “classicità” è soltanto  greca, come alcuni studiosi intendono, o anche romana, se prima di queste ci sono state, in Occidente, altre espressioni di cultura e quali e come greci e romani le hanno utilizzate, se altre grandi civiltà, cinese, indiana, giapponese, vivono oggi gli stessi problemi riguardo al loro passato, alla loro “classicità”.
Ampia, pur nel breve spazio del libro, diventa l’operazione del Settis e  da qui  l’interesse che esso suscita per il lettore. Ma altro principale motivo  di attrazione è quello di far sentire chi legge partecipe del problema, di lasciare a lui, dopo avergli offerto l’occasione di conoscere o ricordare tanto, la possibilità di stabilire per proprio conto, di  cercare una propria soluzione, di pensare se  e come sia possibile continuare a riferirsi all’antico, alle sue culture, lingue, idee, ai suoi valori, in un’ epoca quale la nostra invasa da tante culture, lingue, idee, da tanti modi e sistemi di conoscenza, da tante mode.

di Antonio Stanca, da Educazione & Scuola
 http://www.edscuola.it/archivio/antologia/recensioni/settis.htm

martedì 21 giugno 2011

Il discorso di Giuliano Pisapia

I punti principali contenuti all'interno del discorso programmatico del nuovo sindaco di milano illustrano al meglio la statura morale e la carica ideale espressa dal Primo Cittadino, così come le novità nei modi di affrontare il governo della città e del suo territorio.

Vince

 

 

Discorso di Giuliano Pisapia al primo Consiglio Comunale - 20 giugno 2011

Signor Presidente, Signori Consiglieri,
Il recente risultato elettorale e l’esito dei referendum dimostrano che i milanesi hanno deciso di aprire, nella loro città, una nuova stagione politica.
È un cambiamento che coincide con un sentimento di grande, entusiasmante impegno e con una rinnovata volontà di partecipazione alla vita pubblica.
Milano vuole ritrovarsi di nuovo unita intorno a un obiettivo comune.
Milano vuole trasformare il sogno in realtà.
Milano vuole tornare ad essere la capitale morale ed economica del nostro Paese.
E vuole farlo mettendo in gioco se stessa.
e di trasformare la volontà di contribuire a questo cambiamento in uno strumento di crescita collettiva. Il nostro compito è quello di cogliere e indirizzare questo
Questa prima seduta del Consiglio comunale può essere già l’inizio di un nuovo percorso, che restituisca a quest’ assemblea il compito di parlamento della città;
il Consiglio Comunale deve essere, ne sono convinto, un luogo aperto, partecipato dai cittadini, un’istituzione da rispettare;
la sede e il modello di un confronto civile, il cuore di un nuovo corso amministrativo, politico, sociale, culturale per Milano.
, garante della nostra Costituzione e sostenitore di un rapporto sempre più stretto tra Istituzioni e cittadini. Prima di intervenire sulle linee programmatiche che intendo realizzare nel corso del mandato, voglio ringraziare, a nome di Milano, il Presidente della Repubblica,
, per la sua capacità di destare l’attenzione della città e dei suoi amministratori sui temi dell’accoglienza e della solidarietà; per il suo monito morale e civile e per il suo impegno a favore dei più deboli.Un grazie all’Arcivescovo di Milano, il
Mi congratulo con il nuovo Presidente del Consiglio Comunale, Basilio Rizzo, che per la sua lunga esperienza e per il rigore con cui ha svolto per anni il ruolo di consigliere comunale rappresenta per tutti, ne sono profondamente convinto, una garanzia di corretto e trasparente svolgimento dei lavori di questa Assemblea.
Una grande responsabilità
Sento di avere una grande responsabilità.
A Milano è avvenuto qualcosa di inedito sulla scena politica: si è aperta una nuova stagione che ha riportato al centro un’Italia che sembrava offuscata, nascosta.
Quest’Italia – questa Milano – chiede a gran voce innanzitutto di essere protagonista della scelte della città e, quindi, di partecipare attivamente alla vita collettiva;
e chiede, a chi è stato eletto, coraggio nell’immaginare, e nel costruire, un futuro migliore per tutti;
il che significa anche saper rinunciare a quei piccoli privilegi che hanno contribuito a creare un fossato tra i cittadini e i loro rappresentanti.
Per esempio non vi saranno nel nostro comune, “auto blu”. Abbiamo delle piccole Punto bianche in condivisione… e ne faremo uso con la dovuta sobrietà.
Si tratta, certo, di piccole cose che però possono essere indicative di un rapporto paritario tra cittadini e chi li rappresenta.
Piccole cose che, però, si conciliano anche con l’avere aspettative alte, col sentirci un po’ demiurghi, col credere che è possibile immaginare una città diversa e realizzarla davvero.
Altri l’hanno fatto. E noi lo faremo.
  1. Detroit, schiacciata dalla crisi dell’ auto, era una città che sembrava finita; è diventata una Mecca per i giovani artisti;
  2. Amburgo ha affrontato la crisi della presenza industriale inventandosi capitale dell’ecologia.
oi dobbiamo riconoscere e affrontare i problemi irrisolti. Da quelli piccoli a quelli grandi. Il destino di Milano è
Il progetto di futuro che vogliamo costruire dipende soprattutto da noi.
L’aria del cambiamento, per dare risultati concreti, non può però restare circoscritta a Milano.
Una città non è una monade, né un castello con i ponti levatoi alzati.
Non sarà possibile nessun cambiamento reale, né la soluzione di problemi globali – l’aria, l’acqua, il traffico… - se non riusciremo a rendere concreto il concetto di una città aperta che sviluppi rapporti costruttivi con la città metropolitana e si apra, nei fatti e non a parole, all’
L’obiettivo è di costruire attrazione di risorse, una migliore convivenza e una maggiore coesione tra quelle parti di umanità dell’intero pianeta che hanno scelto il nostro territorio per lavorare e per vivere.
Il nostro successo è stato costruito oltre che dal nostro lavoro, da quello di tantissime persone che hanno scelto di unirsi a noi, dimostrando che siamo in tanti a volere una città nuova:

1) nuova fuori e quindi più bella, più verde, più pulita, più efficiente;
2) nuova dentro: più solidale, più accogliente, più generosa, più attenta, più giusta, più trasparente.
Milano ci ha fatto un dono
Milano ci ha insegnato qualcosa.
Milano ha insegnato a tutto il Paese che la buona politica è un valore che dà prestigio all’immagine di una città e, nello stesso tempo, consente di offrire risposte efficaci ai bisogni delle persone.
Moralità, rispetto dell’altro, correttezza nei comportamenti: i cittadini hanno detto chiaramente che vogliono che la politica riscopra una dimensione etica.
Vogliono che i loro rappresentanti riconoscano la virtù, cioè il merito, le competenze, le capacità, l’onestà, l’integrità e la generosità verso la città.
Vogliono che l’istituzione cittadina sia il primo modello di equità e che, col suo esempio, promuova quel senso civico che è una delle migliori tradizioni di Milano.
Sarò il Sindaco di tutti
I cittadini ci hanno affidato un compito difficile: fornire una risposta credibile alla loro domanda di cambiamento.
Da parte mia ci metterò il massimo di impegno.
Lavorerò guardando al futuro, ma anche cercando negli esempi del passato una guida e, permettetemi di dirlo, il coraggio di superare le difficoltà che non mancheranno.
Milano è stata la culla di un riformismo municipale che ha offerto esempi luminosi di sapienza e lungimiranza amministrativa.
Quegli esempi illumineranno il mio cammino.
Una legislatura costituente
Penso a questa legislatura come a una legislatura costituente.
Costituente soprattutto nella ricostruzione di solide relazioni con la città, che avevano fatto grande Milano, e che si sono come sfilacciate con il tempo.
Occorre rafforzarle per ridare vigore alla città in tutti i campi in cui ha sempre primeggiato: l’economia, il lavoro, l’impresa, le professioni, il welfare, la cultura.
Lo faremo grazie al contributo di personalità di primo piano della politica e della società civile.
Lo faremo attraverso una rete di delegati, di consulte, di agenzie presenti e attive sul territorio.
Ma lo faremo soprattutto coinvolgendo coloro che sono stati ai margini della politica.
Daremo voce a tutte le diverse componenti della società milanese.
rilevante i consigli di zona, che saranno vere e proprie municipalità – con poteri reali, risorse sufficienti e una parte di bilancio partecipato – in grado di svolgere un ruolo di mediazione nella partecipazione concreta dei cittadini sui problemi della città e di proporre soluzioni concrete ai problemi delle singole zone. E in questo avranno un ruolo
A proposito di bilancio, non posso esimermi dal dire – e’ il mio un dovere di trasparenza – fin da subito parole chiare:
Un primo esame conferma quanto già i revisori del Comune di Milano avevano rilevato e cioè che, dal controllo sugli equilibri di bilancio, emerge “un andamento assai negativo delle entrate che compromette l’equilibrio di bilancio sia di parte corrente che dei saldi utili ai fini del rispetto del patto di stabilita’”
Sul bilancio del comune, e sull’effettiva situazione rispetto a quella che ci e’ stata comunicata, faccio fin d’ora ogni riserva e darò immediate comunicazioni non appena saranno terminate le doverose verifiche
Un Patto per la Città
Da parte nostra, intendiamo realizzare un Patto per la Città che si traduca in sviluppo economico e aumento della competitività, del benessere, della crescita sociale e culturale.
Vogliamo altresì dare inizio a una Legislatura che promuova uno stile nuovo fatto di educazione civica e di rispetto della dignità di tutti.
Uno stile nuovo nel modo di rapportarci con il Consiglio comunale, con i gruppi consiliari, con i lavoratori e le lavoratrici dell’amministrazione comunale.
L’Amministrazione deve essere un’organizzazione modello, al servizio del bene comune, un esempio di cultura gestionale positiva che contribuisce a promuovere il cambiamento.
Per questo intendiamo valorizzare il capitale umano e professionale dei dipendenti del Comune favorendo le pari opportunità; la conciliazione della famiglia e del lavoro; in modo che essere genitori non escluda l’accesso alla carriera e alle relazioni sindacali o non costringa, come purtroppo accade, a lasciare il posto di lavoro.
Chi lavora in Comune dovrà ritrovare l’orgoglio di dire “io lavoro per il bene della città, di chi ci vive e di chi ci lavora”.
Occorre costruire nuove soluzioni organizzative che valorizzino capacità, passione e competenza.
E’ questo un interesse primario dei cittadini e in particolare di quelli che più hanno bisogno dei servizi pubblici.
È un interesse del sistema economico poiché migliora l’efficienza della macchina comunale.
È un interesse per chi nel pubblico lavora oggi o vuole farlo domani.
Lavoreremo con impegno:
  1. Per ridare speranza a una Milano che vuole riprendere a crescere e alle famiglie che domandano nuove politiche sociali.
  2. Per dare risposta ai lavoratori e alle lavoratrici che chiedono un’occupazione dignitosa, che consenta di costruire un futuro per loro e per i loro figli. Il che vuol dire anche combattere la precarietà.
  3. Per restituire presente e futuro ai giovani che debbono essere protagonisti della loro vita e della vita della città,
  4. Per garantire alle imprese che vogliono competere un contesto di concorrenza trasparente.
Una Milano in grado di valorizzare la sua grande tradizione di solidarietà e di città aperta e accogliente.
Una città:
1) orgogliosa della sua storia di sviluppo civile e sociale, del suo ruolo di capitale del lavoro, del suo contributo alla democrazia e alla partecipazione.
2) in grado di generare futuro per le nuove generazioni; di dare opportunità, casa e lavoro ai giovani;
na città capitale dei saperi e della cultura, che punta a valorizzare l’istruzione pubblica, la ricerca, la produzione culturale di qualità non solo in centro ma anche nelle periferie.3)
, che devono tornare a essere un fiore all’occhiello di Milano.Vogliamo valorizzare uno dei simboli dello straordinario patrimonio culturale della città: le
Vogliamo una Milano che riconosca e affermi i diritti fondamentali civili e sociali.
Una Milano capitale di un welfare che non lasci ai margini le persone anziane e le persone in difficoltà.
Una città che sappia dare risposte concrete - perché è giusto, non perché è buono - ai temi della disabilità e che renda visibili coloro che oggi sono spesso costretti a restare invisibili.
Una città che promuova l’autonomia personale di chi ogni giorno si misura con ostacoli materiali e barriere architettoniche che dobbiamo rimuovere.
Una città a misura di bambino e, quindi, a misura di tutti. Una Milano che promuova processi di vera cittadinanza e partecipazione attiva.
Una Milano in cui si possa vivere senza venire discriminati per le proprie idee o stili di vita, in cui nessuno si senta solo o straniero.
la loro determinazione al cambiamento. I cittadini hanno espresso anche attraverso i
Costruiremo una città più verde e più vivibile; l’ambiente e la sostenibilità saranno tra le nostre priorità e colmeremo la distanza che, su questi temi, ci separa dai migliori modelli europei.
Affronteremo i grandi temi dell’inquinamento, del traffico, della valorizzazione della Darsena e dei Navigli, come temi dai quali dipendono la qualità della vita e la salute dei cittadini.
Sarà quindi nostro impegno tradurre in atti di governo gli indirizzi espressi dai cittadini durante la consultazione referendaria.
Milano deve riprendere a costruire il proprio futuro, nel rispetto della volontà dei cittadini:
Anche per questo ci impegniamo fin d’ora ad esaminare e a valutare le osservazioni presentate da cittadini e da numerose associazioni al P.G.T (Piano di governo del territorio): non solo per rispetto di quella democrazia partecipativa alla quale crediamo fermamente ma anche perché siamo profondamente convinti che, in quelle osservazioni, vi sia una grande ricchezza per il futuro della città.
Una città in cui non vi siano più abitanti senza casa e case senza abitanti.
Vogliamo una Milano che colga la grande opportunità di Expo 2015 lasciando in eredità ai cittadini più occupazione, più sviluppo, più relazioni internazionali;
che offra soluzioni per combattere la fame, la sete e le malattie e che faccia dell’Expo un’occasione di dialogo tra culture diverse, di diffusione di conoscenze, di apertura al mondo e di progetti di cooperazione internazionale che possano contribuire a contrastare la povertà nell’ottica di quello che non può rimanere una slogan “nutrire il pianeta.-energie per la vita”.
Sono consapevole che nelle tracce di un programma non si può comprimere un’enciclopedia.
Chi dunque volesse setacciare questo mio intervento per vedere cosa non c’è o cosa è insufficientemente trattato avrebbe gioco facile.
Il tema della sicurezza, ad esempio, è un tema rilevante che non intendiamo sottovalutare.
Ma, su questo tema e su altri che il tempo non mi permette di sviluppare. quello che mi preme sottolineare è
E dunque protocolli seri di sperimentazione per assicurare ai cittadini i risultati senza clamori, senza risse, senza le vesti stracciate del giorno dopo.
Mi auguro - e auguro a tutti – di potere inquadrare questo tema nella registro della normalità e non in quello della patologia dell’emergenza perenne.
Cari Consiglieri,
Qualcuno penserà che un discorso di insediamento serva solo per elencare le  buone intenzioni

Ma so che la memoria può diventare un giudice micidiale: proprio per questo una buona intenzione – direi programmatica – la voglio ancora dire.
. , attraverso cui si parla nel modo più istituzionale anche alla città, col Riguarda
”.Sapendo che Seneca ci ammoniva sul fatto che la verità “bisogna dirla
Io considero i miei concittadini in grado di misurarsi anche con problemi gravi, comunque disposti a fare la loro parte, ove informati e coinvolti. Quasi tutta l’Europa funziona con questa etica.
Abbiamo davanti a noi un grande lavoro da compiere, ognuno con la propria storia, con le proprie opinioni, con la propria funzione.
È una sfida entusiasmante. Ci accomuna, ne sono convinto, la volontà di operare bene per Milano.
Le differenze sono una ricchezza che possiamo mettere al servizio della città.
Il mio compito sarà quello di guidare un progetto di cambiamento a cui ciascuno può contribuire nel modo che riterrà più giusto e più opportuno.
Ho fiducia che daremo tutti il meglio di noi stessi.

Grazie.

da Giuliano Pisapia sindaco X Milano su Facebook - 20/06/2011

Creatività, polemiche e vip Bentornata, Biennale


Alcuni elementi utili per orientarsi all'interno della nuova biennale veneziana con indirizzi utili ed autori correlati ai relativi padiglioni delle diverse nazionalità.


Vince




VENEZIA - Chissà che la benedizione Maori non porti un po' di sana energia alla Biennale di Venezia. Si stanno per accendere i riflettori  sulla 54esima  esposizione internazionale d'arte all'insegna delle "Illuminazioni/Illuminations", come recita il titolo scelto dalla curatrice Bice Curiger, e il clima è tra i più  bizzarri. A poche ore dalla maratona di vernissage, al via dal 31 maggio proprio con la cerimonia Maori nel Padiglione della Nuova Zelanda, al 3 giugno, che catapulterà tra Giardini e Arsenale migliaia di giornalisti e addetti ai lavori da tutto il mondo (senza contare le quasi cinquanta sedi coinvolte per gli eventi extra moenia) la sofisticata macchina espositiva messa a punto dalla premiere dame della laguna, la svizzera Curiger, che ha raccolto ottantatre artisti internazionali, con una non indifferente quota rosa di trentadue presenze femminili, e altrettanti "giovani" creativi rigorosamente under 36, sembra essere oscurata dallo strascico di polemiche che colleziona il Padiglione Italia curato da Vittorio Sgarbi.

Creatura aliena, misteriosa, tragicamente (in senso teatrale) ambiziosa, la mostra del critico Sgarbi , che ha macinato duecento artisti italiani (solo per Venezia) segnalati da altrettanti illustri "tutor", con l'obiettivo di "liberare" l'arte dalle "mafie" dei critici e del sistema
artistico del Bel paese (il titolo è infatti "L'arte non è cosa nostra"), è salita all'onore delle cronache negli ultimi giorni per  le illustri defezioni e critiche (tra ritardi sugli inviti e costi di spedizione a carico degli artisti). Il tam tam mediatico ha già sviscerato i nomi di artisti che hanno declinato l'invito allo show dell'arte made in Italy (tra gli altri, dal duo Perino & Vele, a Luca Vitone, Paolo Canevari, Cristiano Pintaldi  che avrà invece la sua personale "Lucid Dreams" all'ex Cantiere Navale sotto la cura di Achille Bonito Oliva). Col risultato però di essere diventata essa stessa un'opera, un working progress avvolta da un'aura di maliziosa curiosità  (a presentarlo ufficialmente sarà Sgarbi con una conferenza stampa il 3 giugno al fianco del presidente della Biennale Paolo Baratta e del commissario Atonia Pasqua Recchia).

Oliato con la precisione tipica degli svizzeri, e senza troppe bagarre (nonostante il budget complessivo di tredici milioni, a fronte di una Biennale Arte che si autofinanzia per l'87% e un ministero che interviene con 6 milioni spalmati su tutti i settori), è il percorso griffato Curiger  che si dividerà tra il Padiglione centrale ai Giardini e l'Arsenale, puntellati dai quattro "parapadiglioni" exploit , istallazioni architettonico-scultoree che fanno da palcoscenico ad altre opere come un expo da metateatro, realizzati dagli artisti Monika Sosnowska, Franz West, Song Dong e Oscar Tuazon, gettonatissimi da performer e azioni che si alterneranno nelle giornate inaugurali..

Prologo al  percorso del padiglione centrale ai Giardini è, come annunciato, il Tintoretto, "il maestro della luce", per la Curiger. Ci saranno infatti le tre grandi tele, concesse in prestito alla Biennale di Venezia dalla soprintendenza per il Polo Museale Veneziano, l'Ultima Cena trasferita dalla Basilica di San Giorgio Maggiore, il Trafugamento del corpo di San Marco e la Creazione degli Animali, entrambe prestiti dalle Gallerie dell'Accademia. "Questi dipinti di Tintoretto, uno degli artisti più sperimentali nella storia dell'arte italiana  -  commenta Curiger -esercitano un fascino particolare per la loro luce estatica, quasi febbrile, e per il loro approccio temerario alla composizione che capovolge l'ordine classico e definito del Rinascimento. Le opere giocheranno un ruolo di primo piano nella mostra, instaurando un rapporto artistico, storico ed emozionale con il contesto locale".

Quanto agli artisti delle "Illuminazioni", la Curiger sottolinea come "Molte delle opere presenti in questa Biennale sono state create appositamente per l'occasione". Pensa a Monica Bonvicini, James Turrell, Nicholas Hlobo, Norma Jean, R. H. Quaytman, Haroon Mirza, Loris Gréaud, Carol Bove, Gelitin, Dayanita Singh, Christopher Wool. Ma la sua mostra include anche opere di autori di generazioni precedenti "la cui attualità li proietta oggi al centro del dibattito artistico", avverte la curatrice. Tra questi, Llyn Foulkes, Luigi Ghirri , Jack Goldstein, Gedewon, Jeanne Natalie Wintsch. Tra i maestri, spiccano anche Sigmar Polke, Pipilotti Rist, Cindy Sherman, Gianni Colombo, Urs Fischer, il duo Peter Fischli & David Weiss.
Numeri importanti arrivano anche sul fronte degli storici Padiglioni nazionali, che quest'anno ai attestano alla cifra record di ottantanove partecipazioni (erano 77 nel 2009). Le nazioni presenti per la prima volta saranno Andorra, Arabia Saudita, Bangladesh, Haiti. Altri paesi parteciperanno quest'anno dopo una lunga assenza: India (1982), Congo (1968), Iraq (1990), Zimbabwe (1990), Sudafrica (1995), Costa Rica (1993, poi con l'IILA), Cuba (1995, poi con l'IILA). Progetto speciale anche per l'America Latina organizzato dall'Iila per l'anniversario dell'indipendenza dei paesi latinoamericani (opere di artisti noti come Regina Galindo e Julieta Aranda). Se la Gran Bretagna propone Mike Nelson, la Francia offre un assolo di Christian Boltanski, e gli Stati Uniti offrono il duetto tra Jennifer Allora e Guillermo Calzadilla.

Ma il bello delle giornate inaugurali è anche l'alto tasso di vip che prova a gareggiare con i red carpet del lido cinefilo, tra vernissage d'elite e party esclusivi come quello blindatissimo per la mostra del pittore-regista Julian Schnabel a Palazzo Polignac il 31 sera. Nel tourbillon dell'arte contemporanea sono imminenti gli arrivi di Elton John, Michael Stipe dei Rem, Sharon Stone e soprattutto James Franco,  in versione artista. E' proprio il divo di Hollywood a firmare la mostra "Rebel", tra i più attesi nel carnet degli eventi collaterali (trentasette in tutto). All'Isola della Certosa, dal 1 giugno al 27 novembre, James Franco porta la sua film installazione, creata apposta per un casale abbandonato, frutto di una eclettica collaborazione con Douglas Gordon, Harmony Korine, Paul McCarthy, Ed Ruscha, Aaron Young sotto la cura di Dominic Sidhu. L'organizzazione è firmata Moca, Museum of Contemporary Art, Los Angeles.

L'ouverture della "settimana dell'arte" veneziana sarà appannaggio del Caffè Florian di Piazza San Marco, il più antico d'Italia e luogo dove nel 1893  venne "concepita" idealmente da un gruppo di intellettuali la prima esposizione della città di Venezia, con una serata il 30 maggio, all'insegna della cultura e della mondanità, con un grande ricevimento dove spiccherà anche l'installazione di Pietro Ruffo "Negative Liberty". Non è Biennale se non si discute, e già si annuncia come "scandalosa" la grande "Pietas" del fiammingo Jan Fabre, alla Scuola Grande di Santa Maria della Misericordia, in scena dal 1 giugno al 16 ottobre, che ripropone una inedita rilettura del celebre gruppo scultoreo della Pietà di Michelangelo con inquietanti variazioni sul tema, tra macabro e profano nello stile di Fabre: la Madonna china sul figlio rivela infatti un teschio al posto del volto mentre un autoritratto dell'artista in abito da sera si riconosce nel corpo di Cristo adagiato tra le braccia della Madre. Il tutto circondato da insetti che ne testimoniano la decomposizione in atto. Tutto in marmo di Carrara.

Sabato 4 giugno, apertura al pubblico e consegna dei premi ufficiali ai Giardini. Già annunciati i Leoni  alla carriera all'americana Sturtevant pioniera del concettualismo, e allo scultore austriaco Franz West .

Notizie utili - "La Biennale d'Arte. 54 Esposizione internazionale d'Arte",  dal 4 giugno al  27 novembre 201, Giardini  -  Arsenale, Venezia.
Orario: 10-18, chiuso  lunedì , escluso lunedì 6 giugno, 15 agosto, 31 ottobre e lunedì 21 novembre (biglietterie

da www.repubblica.it del 27/05/2011

Recensione Biennale di Venezia 2011

Presentiamo in questo Post alcune brevi recensioni dei padiglioni più interessanti della biennale veneziana appena aperta. possono essere un utile esempio per un rapido sguardo sulle ultime ricerche attuate nel campo artistico.

Vince


Finalmente, cari lettori, è giunto il momento di elencare il meglio della 54° Biennale di Venezia, quello che mi è piaciuto, incuriosito ed emozionato e che ho trovato particolarmente attraente. Naturalmente prendete questa disanima come una mia particolare e personalissima classifica sulla base dei miei gusti e interessi.
Ecco la classifica dei migliori Padiglioni nazionali ai Giardini:
-         Padiglione Ungheria: forse quello che mi ha più colpito! Con Crash - Passive Interview, l'artista Hajnal Németh presenta un'opera lirica sperimentale che si svolge sul palcoscenico della vita e ripercorre storie di incidenti stradali realmente avvenuti. Un ambiente rosso immette in una stanza con un rottame di una macchina incidentata per poi entrare in una stanza con i porta spartiti che presentano i libretti dei dialoghi, finché un video non inscena il dialogo passivo tra vittima e intervistatore in forma lirica.
Padiglione Ungheria 1.jpg Padiglione Ungheria 2.jpg Padiglione Ungheria 3.jpg Padiglione Ungheria 4.jpg
-         Padiglione Giappone: molto poetica la video animazione dell'artista giapponese Tabaimo, un'avvolgente ambientazione multimediale che ingloba anche un pozzo proiettato verso il piano terra, ribaltando la percezione di acqua e cielo, terra e spazio.
Padiglione Giappone 1.jpg Padiglione Giappone 2.jpg
-         Padiglione Germania: ha vinto il Leone D'Oro con l'opera di Christoph Schingensief, deceduto nel 2010 pochi mesi dopo la nomina alla Biennale. Il Padiglione presenta i differenti aspetti della ricerca dell'artista, soffermandosi sulla disperata malattia autobiografica. L'allestimento ricostruisce una chiesa con le proiezioni di diversi film e azioni performative registrate in vita dall'artista tedesco (che ha condiviso diverse atmosfere Fluxus) facenti parte dell'opera A Church of fear vs. the Alien Whitin. Un'installazione cruda e cupa che rappresenta una moderna crocifissione in cui protagonista è un affetto da disabilità fisica e mentale.
Padiglione Germania.jpg Padiglione Germania 1.jpg Padiglione Germania 2.jpg Padiglione Germania 3.jpg
-         Padiglione Korea: l'artista Lee Yongbaek ha creato un percorso in cui una video installazione si sofferma sul contrasto tra Angeli e Soldati mentre il percorso presenta alcune stampelle con le casacche militari, ma con la fantasia fiorata, recanti i nomi di alcuni artisti storici come Duchamp, Nam June Paik e Beuys. In un'altra sala, poi, uno specchio sembra improvvisamente animarsi con una rottura che provoca un rumore assordante. Da qui prende vita il confronto tra realtà, illusione e simulacro, che confluisce nella rappresentazione di due cyborg che inscenano la Pietà.
Padiglione Korea 1.jpg Padiglione Korea 2.jpg Padiglione Korea 3.jpg
-         Padiglione Francia: non è una sorpresa l'opera di Christian Boltansky che presenta il repertorio di vite umane che scorrono velocissime su dei rulli come fossero pellicole cinematografiche in azione. Tante vite nascono, tante ne muoiono e vengono registrate da timer rossi e verdi. Lo spettatore può bloccare il flusso di queste immagini su uno schermo che compone casualmente sguardi e bocche diverse, a formare una nuova identità quando si tocca un pulsante che ferma lo scorrere delle immagini.

da www.Repubblica.it del 23/05/2011